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tecnologia

Burocrazia e poca finanza frenano le startup italiane

Mancanza di liquidità, costo della forza lavoro e burocrazia. Sono questi i principali fattori critici nell’attività della propria impresa secondo gli oltre 400 startupper italiani, intervistati per la seconda edizione della ricerca “La voce delle startup”. Il report – realizzato dall’associazione Italia Startup – oltre a fotografare la situazione economica delle nuove imprese, dedica anche un focus ai desideri e ai problemi degli startupper. Tra questi, al primo posto, per il 44,6% degli intervistati c’è la mancanza di liquidità che viene percepita come il principale punto di debolezza della propria impresa. Seguono le risorse umane numericamente limitate, viste come un grande limite per quasi il 20% degli intervistati. Una situazione dovuta a un altro problema messo in luce dagli startupper intervistati: il costo della forza lavoro. La tassazione troppo alta del lavoro dipendente viene, infatti, considerata una criticità “estrema” dal 30% degli imprenditori, e “alta” da un altro 21%. A complicare le cose anche la burocrazia vissuta come un gravissimo problema per il 29% degli startupper e come grave dal 30% di loro. Aspetti fiscali e incertezza normativa completano il quadro di ciò che, secondo i nuovi imprenditori italiani, andrebbe migliorato per consentire alle loro imprese di avere successo. Un obiettivo complicato dal fatto che, secondo gli intervistati, l’attuale normativa non facilita nemmeno gli investimenti in formazione e manca – secondo il 36% degli startupper – di agevolazioni per l’imprenditoria di nuova generazione. Si tratta di risposte su cui pesano certamente i dati su fatturato che emergono dalla ricerca, e che confermano quanto rilevato dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) nell’ultima rilevazione trimestrale sulle startup innovative del nostro Paese.
La maggior parte (87,3%) delle startup che ha partecipato alla ricerca si trova, infatti, in fase seed con fatturati inferiori al milione di euro. Solo il 12,7% degli intervistati ha invece dichiarato che la propria impresa appartiene alla categoria della startup consolidate e ha un fatturato superiore al milione di euro. Nello specifico: il 43,2% dichiara un fatturato complessivo nell’ultimo esercizio inferiore a 50mila euro. Mentre solo il 10,9% delle startup si colloca nella fascia da 500mila a un milione di euro.
Altro dato simile a quello rilevato dal Mise riguarda il numero di dipendenti. Il 50,2% delle realtà intervistate ha infatti ammesso di avere un team composto da un numero variabile di persone compreso tra 3 e 9. Sono invece il 32,6% le startup che si collocano nella fascia da 1 a 3 dipendenti. Solo il 13% dichiara da 10 a 20 persone e le imprese con un numero di dipendenti superiore a 50 sono meno del 2%. «Le startup italiane sono afflitte da un fenomeno di nanismo a cui fatichiamo a dare una risposta, e la situazione non è cambiata nel corso degli ultimi due anni», rivela Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup. Un problema su cui, secondo il segretario, pesa anche il modello di business che le startup hanno scelto finora: «All’inizio la maggior parte delle aziende puntava sul B2C e questo può aver influenzato la loro difficoltà a crescere visto che si tratta di un settore già presidiato da startup straniere diventate dei veri colossi. Il cambio di modello di business attuale può perciò essere un segnale positivo». Dalla survey emerge infatti che, nel corso dell’ultimo anno, la tipologia di clienti a cui si rivolgono le startup, è per la maggioranza (50,7%) legata al B2B e al B2B2C (36,1%). Solo l’11% si rivolge invece ai consumatori finali con un’attività B2C. Ma se il modello di business sembra essere quello giusto, non lo è altrettanto la mancanza di apertura verso l’estero della maggior parte delle startup. Il 35,9% ha detto infatti di non esportare i propri prodotti o servizi in altri Paesi. Sono inoltre il 36,4% le aziende che dichiarano meno del 10% del fatturato prodotto all’estero. Eppure gli startupper italiani avrebbero dalla loro l’esperienza nel mondo del lavoro – come dimostra l’età media di circa 40 anni – e soprattutto un alto livello di istruzione. Secondo la ricerca il 26,2% dei nuovi imprenditori ha, infatti, una laurea di secondo livello. Mentre il 30,2% ha conseguito un master o un post laurea.