Le cripto valute, certo. Ma non è solo il valore, esponenzialmente lievitato, dei bitcoin a fare notizia. La tecnologia blockchain, il protocollo informatico che molti esperti considerano il vero elemento “disruptive” della rivoluzione digitale per i suoi molteplici campi di utilizzo, è un business globale a nove zeri. Il giro d’affari annuo delle applicazioni blockchain a livello aziendale (i dati sono della società di ricerca Tractica) aumenterà infatti dai 2,5 miliardi di dollari del 2016 ai 19,9 miliardi previsti entro il 2025. I finanziamenti raccolti dalle aziende che operano su questa tecnologia sono arrivati invece, nei primi nove mesi del 2017, a quota 4,5 miliardi di dollari e ce lo dice un recente report di PitchBook. Una cifra monstre, va precisato, imputabile in larga parte ai 3,6 miliardi di dollari spesi in giugno dal colosso texano Vista Equity Partners per rilevare gli asset della canadese D+H e creare Finastra, oggi una delle più grandi aziende fintech al mondo.
Se guardiamo alle sole operazioni di equity, si nota un certo rilassamento da parte degli investitori privati, per quanto le cifre raccolte siano superiori a quelle dell’anno precedente. Gli oltre 150 deal registrati da gennaio a settembre hanno sviluppato circa 965 milioni di dollari di finanziamenti, paragonati ai 624 milioni (distribuiti in 203 transazioni) di dodici mesi prima. Numeri alla mano, è indiscutibile che l’industria della “catena a blocchi” abbia suscitato l’interesse di molte blue chips dei settori tecnologico e finanziario e stimolato gli investimenti diretti alle startup. Qualche esempio? Visa ha annunciato l’intenzione di lanciare pagamenti B2B basati su blockchain entro l’anno dopo aver investito in un round da 30 milioni di dollari sulla californiana Chain. Il braccio venture di Ibm, invece, è prossimo ad effettuare il suo primo deal.
Se è vero che, come testimoniano le rilevazioni di CB Insights, il secondo trimestre del 2017 è stato il peggiore, quanto a numero di operazioni concluse, da metà 2013, i finanziamenti raccolti attraverso i venture capital e investitori istituzionali sono arrivati a una cifra record 232 milioni di dollari. Semmai fa specie notare come i round chiusi tramite Ico, le “Initial coin offering”, una sessantina, siano balzati oltre l’equivalente di 750 milioni, portando da inizio anno il valore di raccolta attraverso la vendita di monete virtuali ben oltre gli 1,2 miliardi di dollari (rispetto ai 222 milioni dell’intero 2016). Fra le operazioni tradizionali spiccano in particolare quelle hanno interessato il consorzio R3, in un round Series A da 107 milioni, e la startup inglese Blokchain, che ha chiuso un Series B da 40 milioni con Lightspeed Venture Partners, Virgin Group e Google Ventures. Fra le Ico, la palma di deal più importante va invece a Tezos, la cui raccolta ha superato i 230 milioni di dollari.
Detto che sul fenomeno permangono diverse questioni legate alla sua regolamentazione, per effetto di una corsa speculativa che ha provocato un aumento sostanziale delle attività fraudolente e degli hacker, c’è chi è pronto a scommettere sul successo delle Ico. Il miliardario giapponese Taizo Son, fondatore e Ceo del venture capital Mistletoe, ritiene infatti le “initial coin offering” la strada maestra per le nuove imprese innovative per raccogliere finanziamenti in futuro, in quanto la vendita di token digitali democratizzerà il processo di fundraising. Ne beneficeranno anche le (poche) startup italiane della blockchain? Stefano Capaccioli, Presidente di Assob.it, ha fatto il punto con il Sole24ore ricordando innanzitutto come le piazze principali di sviluppo siano oggi la Silicon Valley e Londra. «Esiste però ancora la possibilità – spiega – che il nostro Paese possa affacciarsi in modo interessante ed attraente a questo mercato con l’ultimo decreto legislativo in materia di antiriciclaggio, il DLgs 90/2017, ancora da completare adeguatamente con il decreto attuativo. L’attrattività dell’Italia è però depressa dalla scarsa comunicazione su tali innovazioni normative e dall’incertezza amministrativa, tanto che WorldBank ci colloca al 50esimo posto nel proprio Doing Business».
startup@ilsole24ore.com