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economia

Disoccupazione e dispersione scolastica: il senso della laurea

La dispersione scolastica non sembra essere la principale causa della disoccupazione giovanile. Ma dai dati emerge come il mercato del lavoro non sia in grado di assorbire i giovani che non hanno completato gli studi.

Per arrivare a queste conclusioni, Infodata ha fatto riferimento alla banca dati di Eurostat. Estraendo innanzitutto i numeri della disoccupazione giovanile. E incrociandoli con quelli relativi ai cosiddetti “early leavers”. Così l’Istituto europeo di statistica definisce i giovani tra i 18 ed i 24 anni che hanno abbandonato gli studi prima dell’esame finale. Il risultato è questo:

I dati coprono il periodo di tempo che va dal 2007 (rappresentato dal “pallino” più piccolo) al 2016 (il più grande): osservando le dimensioni delle bandierine è insomma possibile seguire l’andamento nel tempo dei due fenomeni presi in considerazione. Il filtro Anno consente di “scattare” una fotografia relativa ad una singola annualità. Mentre quello Paese permette di aggiungere, o togliere, altre nazioni sul grafico. Di default si è deciso di visualizzare i dati relativi a Germania, Francia e Regno Unito e ai cosiddetti Pigs: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

Tutto questo premesso, il grafico mostra l’impegno di tutti i Paesi europei nel contrasto alla dispersione scolastica. Il Portogallo è passato dal 36,5% di giovani tra i 18 e i 24 anni che interrompono gli studi al 14%, la Germania dal 12,5 al 7,1%. Mentre l’Italia è scesa dal 19,5 al 13,8%. E del resto una riduzione di questo fenomeno rientra tra gli obiettivi posto dalla comunità europea per il 2020.

L’altro elemento che si coglie dal grafico è quello relativo alla disoccupazione. E, come si osserva, il tasso di disoccupazione per i giovani under 25 è del tutto indipendente da quello legato alla dispersione scolastica. Sembra piuttosto seguire l’andamento della crisi economica scoppiata a fine 2008. L’esempio classico è il Portogallo: qui nel 2007 un terzo degli studenti tra i 18 ed i 24 anni rinunciava a completare gli studi e “solo” il 21,4% degli under 25 era disoccupato. Lo scorso anno la dispersione scolastica si è ridotta, come detto, al 14%, ma la disoccupazione è salita al 28,2%.

Ulteriore conferma arriva dall’Italia. Dove, come detto, l’abbandono scolastico è sceso dal 19,5% del 2007 al 13,8% dello scorso anno. Mentre, nello stesso periodo di tempo, la disoccupazione degli under 25 è passata dal 20,4 al 37,8%.

E allora, per provare a comprendere meglio i meccanismi, Infodata ha interrogato il dataset relativo agli “early leavers” chiedendo quanti di questi ex studenti abbiano trovato un lavoro. E il risultato è rappresentato in questo grafico, che funziona in maniera del tutto simile al precedente:

Anche in questo caso, l’esempio che meglio spiega l’andamento è rappresentato dal Portogallo. Come detto, Lisbona ha ridotto significativamente la dispersione scolastica. Dieci anni fa il 36,5% di studenti che non terminava gli studi si divideva in un 27,3% di persone che trovavano comunque un impiego e in un 9,2% per cui si aprivano le porte della disoccupazione. Lo scorso anno il 14% di “early leavers” si è suddiviso in un 7,4% di occupati e in un 6,5% ancora alla ricerca di un posto.

Si vede insomma come la quota di ragazzi che abbandonano gli studi e non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro sia rimasta in buona sostanza invariata. O comunque cala meno di quanto non scena la quota di “early leavers” che trovano un lavoro. Quindi, se da un lato lo sforzo dei Paesi dell’Unione nel ridurre la dispersione scolastica sta dando dei risultati, rimane ancora aperto il problema di offrire uno sbocco professionale a chi non abbia completato un percorso di formazione.

E, si potrebbe aggiungere con una considerazione che esula dal contesto di questi dati, con l’automazione e l’industria 4.0 questo problema rischia seriamente di acuirsi.

E in Italia, qual è la situazione? Nel nostro Paese la crisi ha colpito duramente, tanto che il numero di “early leavers” disoccupati è salito dal 9,3% del 2007 all’11,2% del 2013, pur in un contesto che ha visto scendere di quasi tre punti la percentuale di studenti che non terminavano gli studi. Nel 2016 la quota di coloro che lasciano la scuola e non trovano lavoro è del 9,4%. Ma rispetto a dieci anni prima, quando il 10,2% delle persone che avevano abbandonato gli studi trovava lavoro, lo scorso anno ci si è fermati al 4,4%.

L’ipotesi per spiegare questi numeri è che dieci anni fa chi abbandonava gli studi lo faceva perché trovava uno sbocco professionale. Mentre oggi, di fronte alla prospettiva della disoccupazione, si preferisce completare il percorso scolastico. Come mostra il primo grafico, il “pezzo di carta” non garantisce lo stipendio, dato che da questo punto di vista entrano in gioco molti altri fattori. Ma l’impressione è che, di fronte alla prospettiva quasi certa della disoccupazione, sempre più giovani decidano di ottenerlo.