Dal 2010 lo stipendio medio reale nella scuola ha perso il 12,4% del proprio potere d’acquisto, e quello dei tecnici dell’università ha lasciato per strada l’11,8%. Nello stesso periodo, la busta paga tipo nelle Autorità indipendenti (Antitrust, Privacy, Energia eccetera) è cresciuta del 7,6%, negli enti pubblici come l’eterno abolendo Cnel o DigitPa (oggi agenzia per l’Italia digitale) è aumentata del 7% mentre Palazzo Chigi non segna impennate, ma riesce comunque a difendersi dal carovita: e a conservare il +23,5% raggranellato prima della crisi. Insomma: nella pubblica amministrazione la cultura non paga, l’autonomia sì.
I censimenti dell’Aran, l’agenzia che rappresenta la Pa come datore di lavoro, sull’evoluzione degli stipendi negli uffici pubblici offrono un termometro concreto per misurare gli effetti della crisi di finanza pubblica nei diversi rami della nostra amministrazione. All’appuntamento con il rinnovo dei contratti, bloccato dal 2010, imposto dalla Corte costituzionale nel luglio 2015, celebrato dall’accordo governo-sindacati nel novembre 2016 e ora finanziato dalla manovra che questa settimana inizia il proprio cammino al Senato, arriva insomma una pubblica amministrazione solo apparentemente monolitica.