È dall’analisi della capacità produttive di queste aree che si possono comprendere i divari cresciuti negli anni di una crisi che ha tagliato dell’11,9% il Pil del Sud tra il 2007 e il 2015, contro il -6,7 del Centro Nord e il 5,7 o 5,9% del Nord-Ovest e del Nord-Est. Un distacco che, nel 2016, si rifletteva ancora in pieno, dato che il prodotto per abitante del Mezzogiorno è stato pari a circa il 56% di quello del resto del Paese. Le cause?
Secondo le analisi di Bankitalia il divario è attribuibile in parti pressoché uguali «alla diversa quota di popolazione occupata e alla produttività, che nelle regioni meridionali è più bassa di oltre il 20 per cento rispetto al resto del Paese». Pesano i diversi contesti territoriali e le diverse dinamiche di produttività totale dei fattori. Nel Centro Nord l’utilizzo di forza lavoro qualificata da parte delle imprese è maggiore così come lo è la capacità dei centri urbani di attrarre soggetti con più elevata scolarità. E diverse sono state negli ultimi anni anche i tempi di rientro nel mercato del lavoro di chi aveva perso l’impiego. Nelle medie nazionali tra il 2008 e il 2013 meno del 29% dei disoccupati è riuscito ritrovare un nuovo impiego entro sei mesi e solo dal 2014 la quota ha ripreso a crescere, accelerando in modo significativo nel 2015. Nel Mezzogiorno invece solo il 26,5% di chi aveva perso un impiego nella media del quadriennio 2009-2012 ha trovato un nuovo lavoro dipendente entro sei mesi (a fronte di circa il 28 nel Nord e il 29 al Centro). Naturalmente a tempi di reimpiego più lunghi corrispondono salari inferiori: i lavoratori che provengono da periodi di inoccupazione più lunghi percepiscono retribuzioni meno elevate rispetto a chi è rimasto inoccupato per meno tempo. E il fenomeno, pur presente in tutte le aree, è più marcato al Centro e nel Mezzogiorno.