Battaglia sull’emendamento alla manovra che taglia i tempi di durata dei processi civili. Con tensioni interne anche alla compagine di Governo e una levata di scudi di magistrati e avvocati, che ieri sera hanno condotto al ritiro. A un ministero della Giustizia che spinge per l’approvazione si sono contrapposte, nell’Esecutivo, maggiori perplessità del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi.
La posta in gioco era alta perché l’estensione del rito sommario a tutte le cause di competenza del giudice unico, stralcio della più ampia riforma del processo civile che da tempo langue al Senato e indicato nel Piano nazionale delle riforme allegato al Def, avrebbe riguardato la stragrande maggioranza delle controversie. Per dare un’idea,secondo gli ultimi dati disponibili, nei tribunali sono stati avviati, nel corso del 2016, in tutto 2.134.020 nuove cause. La stragrande maggioranza (i numeri relativi ad alcune materie sono riportati a fianco) sono di competenza del giudice monocratico, quella collegiale è residuale e affidata all’articolo 50 bis del Codice di procedura civile, tanto da fare stimare in circa 1 milione e 800mila quelle che sarebbero state investite da una forma processuale che oggi ha un’applicazione circoscritta.
E con elementi collaterali tutti da valutare, come il crollo possibile del gettito del contributo unificato che, oggi, è dimezzato per le cause nelle quali si applica il rito sommario. Di certo, lo illustrava la relazione all’emendamento stesso, con l’applicazione quasi generalizzata del rito semplificato la durata della fase di cognizione si sarebbe dimezzata, passando da 840 giorni a 385 giorni, e avrebbe permesso, si affermava nella relazione al testo, un deciso miglioramento della classifica Doing Business che misura l’efficienza dei sistemi giudiziari, permettendo all’Italia di passare dalla 111esima piazza alla 42esima.
Articolo sul Sole 24 Ore del 28 11 2017