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Quale è la ex startup che ha corso di più?

 

È la ex startup che corre più veloce in termini di fatturato secondo la diciassettesima edizione della “Technology Fast 500 Emea” realizzata da Deloitte. Per Deliveroo, colosso inglese del food delivery, la crescita del giro d’affari è arrivata al 107%, segno che il settore offre ancora margini di sviluppo molto importanti. Almeno per chi, nel campo della consegna a domicilio, la fa da padrone. Foodora, JustEat e ovviamente Deliveroo, sono le icone di un mercato che su scala globale vale oltre 70 miliardi di dollari, di cui solo il 13% è generato online, via app e tramite piattaforme digitali (dati McKinsey). Per la società britannica, nata nel 2013 e dominante in Europa con circa 200 città raggiunte dal servizio (quelle italiane sono 11 e coinvolgono 1.900 ristoranti partner) è arrivato a metà novembre un nuovo round Series F da 98 milioni di dollari che ha portato a 482 milioni l’entità dell’ultima tornata di finanziamenti raccolta e fatto schizzare la valutazione a due miliardi di dollari (con 130 milioni di sterline di ricavi consolidati a fine 2016).
L’ecosistema delle imprese tech del food delivery, dopo il boom iniziale degli anni 2011-2013, è oggi condizionato da maggiore concorrenza, più incertezza e dal progressivo aumento del numero di fusioni e acquisizioni. A realtà virtuose come DoorDash e Postmates, che hanno raccolto entrambe oltre 600 milioni di dollari, fanno però eco fallimenti di aziende come Kitchit, che ha ricevuto il primo finanziamento a metà 2014 ed è morta esattamente due anni dopo. La californiana Sprig e la londinese Jinn hanno a loro volta chiuso i battenti a maggio e ottobre di quest’anno. Operare in questo mercato, al cospetto di attori come Amazon, è un percorso a ostacoli anche per chi, come Blue Apron e la tedesca Delivery Hero, è arrivato all’Ipo.
La raccolta per le startup della consegna di pasti a domicilio nel 2017, in ogni caso, è prevista in forte rialzo rispetto all’anno passato e dovrebbe raggiungere, secondo le stime di Cb Insights, i 3,3 miliardi di dollari, con un centinaio di round all’attivo. Pesano però nel conto i mega deal della cinese Ele.me, in cui Alibaba ha investito un miliardo, e della stessa Delivery Hero, che prima della quotazione ha chiuso un finanziamento da oltre 420 milioni. Discorso simile anche per le startup attive nella consegna di generi alimentari, per cui la raccolta supererà i due miliardi di dollari a fine anno (con oltre 100 operazioni), grazie soprattutto ai Series D dell’americana Instacart (400 milioni) e della cinese Yiguo (300 milioni).
E l’Italia? Il food & grocery è un mercato che vede gli acquisti online in salita del 43% rispetto al 2016, a quota 850 milioni di euro (dati Netcomm – Politecnico di Milano) e gli ordini relativi ai pranzi a domicilio effettuati via app in rialzo del 137% (lo dice l’Osservatorio di Just Eat condotto in 15 città). Per le startup della Penisola, insomma, le opportunità non sembrano mancare anche se i finanziamenti raccolti si fermano nel complesso a pochi milioni di euro. Fra i casi virtuosi c’è la milanese Quomi, che ha chiuso a ottobre un round da 600mila euro. Nata nel 2014, punta tutto sulle ricette a domicilio: tramite sito web si può fare la spesa pensando a una determinata pietanza e tutti gli ingredienti già dosati per cucinare si ricevono direttamente a casa propria. Sempre a Milano operano inoltre Green Koala e Foorban. La prima ha scommesso su un’offerta di piatti bio con un modello integrato che parte dalla raccolta degli ordini via app e si chiude con la consegna a domicilio. Per finanziare lo sviluppo della piattaforma e la crescita del fatturato (il business plan prevede ricavi per 270mila euro nel 2018 e il break-even operativo per l’anno seguente), la società ha avviato una campagna sul portale di equity crowdfunding Opstart, superando ben prima della scadenza l’obiettivo prefissato di 100mila euro. La seconda è attiva da un anno e mezzo ed è stata finanziata in due seed per complessivi 1,15 milioni di euro. Dopo aver consegnato più di 50mila pasti in città, ha fatto di recente il proprio “esordio” offline, aprendo il suo primo punto vendita fisico all’interno della nuova sede di Amazon, per servire la pausa pranzo agli oltre 400 dipendenti del colosso americano. L’idea, conferma il ceo di Foorban, Stefano Cavaleri, è quella «di replicare il modello in altre aziende, sia in Italia che all’estero, come punto di partenza per una strategia omnichannel internazionale».