È una delle questioni più spinose nel negoziato sulla Brexit. I britannici non vedono l’ora di smarcarsi dal suo controllo, ma secondo i termini dell’accordo raggiunto lo scorso 8 dicembre dovranno aspettare ancora un po’. A fare così paura a Londra è la Corte di Giustizia Ue, arbitro supremo nell’interpretazione della legislazione europea nei 28 Paesi dell’Unione e giudice ultimo nelle procedure di infrazione intentate dalla Commissione Ue contro le capitali finite nel mirino perché non rispettano le regole europee.
Un potere ad ampio raggio, dunque, con decisioni che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini e in modo indiretto anche sulle scelte nazionali. Con piccoli e grandi tasselli aggiunti nel puzzle della costruzione europea nel corso di 66 anni di storia – la fondazione della Corte risale al 1952 – che l’hanno trasformata nel simbolo dell’unità europea per i suoi sostenitori o in quello dello strapotere dei burocrati per i suoi detrattori, con Londra in prima linea. Basti pensare alle sentenze storiche, come la Bosman del 1995, che ha sancito il principio della libera circolazione dei calciatori nel mercato unico o a quella del mese scorso che ha definito Uber un mezzo di trasporto e dunque soggetto a regolamentazione