Sempre più digitali ma anche sempre più spaventate dal rischio di un cyber attacco. Le aziende italiane, a quanto pare sono uscite dal limbo dell’inconsapevolezza che le avvolgeva fino a qualche tempo fa, e oggi temono veramente la portata di un’intrusione informatica. Secondo uno studio di Allianz (Allianz Risk Barometer) pubblicato ieri, i rischi informatici si posizionano sul secondo gradino del podio fra quelli più temuti dalle imprese italiane in questo 2018. E del resto, basta dare un’occhiata ai numeri diffusi da Accenture per capirsi: in Italia ogni azienda subisce in media un costo di ben 5,5 milioni di euro all’anno a causa di attacchi informatici. Tanti soldi.
«Sottovalutato per molto tempo, il rischio informatico è una preoccupazione crescente per le aziende italiane, e anche il danno reputazionale è una minaccia in aumento» ha detto, Nicola Mancino, ceo di Allianz Global Corporate & Specialty Italia, commentando i numeri diffusi proprio da Allianz che raccontano come per la prima volta nella storia, l’interruzione di attività e il cyber risk hanno la stessa importanza per i manager. Un risultato spinto, molto probabilmente, da eventi che nel corso del 2017 hanno posto grande attenzione sul rischio informatico per le imprese. Un caso su tutti: WannaCry, il malware di tipo ransomware che a maggio scorso ha colpito più di centomila sistemi informatici in tutto il mondo, mandando in tilt centinaia di aziende e decine di ospedali.
WannaCry (ma successivamente anche l’attacco denominato Petya) hanno in qualche modo dato una scossa alla percezione un po’ assonnata delle aziende italiane. «Che si tratti di attacchi come WannaCry, o più frequentemente di guasti di sistema, – ha detto Chris Fischer Hirs, ceo di Allianz Global Corporate & Specialty commentando i dati dell’ultimo report – gli incidenti informatici sono oggi una delle principali cause di interruzione di attività per le aziende collegate in rete, i cui principali asset sono spesso i dati, le piattaforme di servizio o i loro gruppi di clienti e fornitori».
Articolo sul Sole 24 Ore del 17 gennaio 2018