Dal pistacchio di Bronte all’avocado, dalla pasta fresca al sushi già pronto, oggi più che mai i carrelli della spesa degli italiani stanno vivendo una marcata situazione di bipolarismo. Una vera e propria schizofrenia tra lontano e vicino, tra abitudini alimentari campanilistiche e una totale globalizzazione dei gusti.
Un trend che si manifesta poi al momento dell’acquisto, nel quale le preferenze per marchi locali o globali variano a seconda della tipologia del prodotto.
Da un lato abbiamo quindi i prodotti confezionati per i quali i consumatori italiani non dimostrano particolari preferenze di provenienza: in media solo 1 italiano su 10 è più propenso ad acquistare piccole marche locali di cioccolato, snack dolci o salati, cereali, caffè o tè e bevande analcoliche frizzanti, per le quali la percentuale scende addirittura al 5%.
Lo spostamento verso i marchi globali diventa ancora più evidente nelle categorie “Prodotti per l’infanzia”, “Cura della casa” e “Cura della persona”: acquisti per i quali i consumatori hanno bisogno di essere rassicurati dalle maggiori garanzie che le grandi multinazionali sembrano offrire in termini di controlli qualitativi. Così, nello specifico, appena l’8% degli italiani acquisterebbe shampoo e balsamo da piccoli produttori locali, il 7% make-up e il 6% dentifricio. Percentuali simili anche per i detergenti per la casa e i detersivi per la lavatrice.
Per gli alimenti più freschi, invece, gli shopper ripongono ancora molta fiducia nei piccoli negozi al dettaglio, che restano il canale preferito nel quale acquistare frutta e verdura fresca – per un italiano su due – prodotti caseari (48% dei consumer), uova, carne e pesce fresco (44%), prodotti da forno (37%). Una tendenza confermata anche a livello globale, dove la percentuale di preferenze per il fruttivendolo sotto casa arriva fino al 66%.
Se il mercato rionale vince dunque per qualità e affidabilità, la Grande Distribuzione può contare sui servizi e l’offerta in termini di convenience dei propri punti vendita.