Tra tentazioni neosecuritarie e un diritto della punizione umano e rieducativo. Con il carcere diventato sempre più una risposta (la sola?) che troppo spesso la politica sa dare alle paure dei nostri tempi. Eppure questa fase terminale della legislatura ha visto approdare in Parlamento, e a breve potrebbe essere in vigore, una riforma che in altri tempi si sarebbe detta veramente «di struttura», quella dell’ordinamento penitenziario, attesa da anni, l’attuale disciplina è datata 1975, e testimonianza di un tentativo, anche ambizioso, di cambiare prospettiva, da provare a fare comprendere a un’opinione pubblica sospesa tra l’incudine dell’enfatizzazione di episodi di cronaca nera e il martello di una politica che troppo spesso soffia sul fuoco della preoccupazione sociale.T
Anche perché puntare su una maggiore flessibilità della pena, su minori automatismi, sul recupero di spazio discrezionale della magistratura di sorveglianza potrebbe rivelarsi, a conti fatti, una scommessa vincente. A corroborarla ci sono già oggi dati che testimoniano come i detenuti affidati al circuito carcerario tornano a delinquere nel 68% dei casi, mentre il tasso di recidiva tra chi è affidato a misure alternative si ferma al 19 per cento. In un contesto poi che vede di nuovo in crescita la popolazione carceraria con tutti i rischi legati alle condanne già emesse in sede internazionale per il trattamento dei detenuti.