Tra slanci più o meno alati e finanziamenti più o meno ballerini, il gran ballo dell’Irpef occupa ormai stabilmente il centro del dibattito fiscale in vista delle elezioni. Ma al di là delle petizioni di principio gli effetti sono tutti da valutare su tre snodi cruciali: la progressività, le ricadute sulle famiglie e più in generale sull’equità della distribuzione dei pesi. Anche perché i numeri spesso rivelano sorprese.
All’apparenza, la divisione è semplice: le ricette di Leu, Pd e Cinque Stelle puntano sulla progressività, utilizzata come sinonimo di equità, mentre nel centro-destra l’accento è messo sul taglio generalizzato. Ma non sempre i conti tornano, anche a prescindere dallo snodo determinante delle coperture.
Nel grafico qui a fianco vengono tradotte in cifre le proposte di riforma avanzate dai cinque principali partiti, calcolando gli effetti che avrebbero sui conti di sei famiglie-tipo (ciascuna con un reddito da lavoro dipendente): una coppia senza figli, e una con due bambini piccoli, entrambe articolate su tre differenti fasce di reddito. Oltre all’Irpef, il risultato finale tiene conto degli assegni famigliari (con i loro ripensamenti avanzati da Pd e Leu), e del bonus da 80 euro, che nell’ipotesi targata M5S viene assorbito dal nuovo sistema.