Tuttavia, da una azienda giovane, che si confronta by definition sul mercato globale, con una fortissima predisposizione al digitale, al commercio elettronico e alla comunicazione online, qualcosa di diverso e di più rispetto a una pizzeria o uno studio medico te lo devi aspettare. Già la prima edizione del report del 2016 su dati 2015, sollevò piuttosto scalpore, tanto da essere citata anche dal documento del ministero dello Sviluppo economico a supporto della relazione al Parlamento sulla legge che nel 2012 ha istituito il concetto normativo di startup innovativa. Eppure, in questi 24 mesi non è cambiato moltissimo. Anzi, questa volta, la ricerca è stata estesa anche alle startup che sono supportate da “facilitatori” dell’ecosistema italiano (investitori, incubatori, acceleratori). Qualche differenza in questo caso c’è: l’86,7% di esse ha un sito funzionante, contro il 49,7% di quelle iscritte al registro delle startup innovative.
Anche perché la concorrenza come detto è globale e molto digitale. Nel mondo ci saranno non meno di due miliardi di player intesi come altrettanti siti. Un sito ottimizzato è questione di sapere come farsi trovare. Vale per un giornale online ma anche per un servizio innovativo di e-commerce. Se resti analogico non vuol dire che non farai mai soldi nella vita. Un laboratorio di life science molto specializzato non ha bisogno di un sito web, gli bastano le pubblicazioni scientifiche e la conoscenza accademica. Se però possiedi un prodotto o un servizio e intendi lanciarlo fuori dall’Italia, il passaparola tra addetti ai lavori potrebbe non bastare. Ciò che preoccupa, quindi, è la mancanza di una cultura digitale appropriata che nelle startup innovative dovrebbe essere invece un po’ più diffusa e presente.