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Speciale calciomercato: chi ha perso la sfida dei direttori sportivi?

Sul gong finale della sessione invernale di calcio mercato, siamo giunti al termine di questo speciale dedicato alla valutazione dei direttori sportivi, che giustamente richiede un post di sintesi dei risultati.

 

È bene ricordare le caratteristiche dell’esercizio, il cui scopo era piuttosto semplice: quanto sono bravi i responsabili del mercato delle principali squadre di serie A nel condurre le trattative di acquisto e di cessione dei giocatori? Si tratta di un terreno insidioso, in primis perché minato dal valore effimero delle impressioni e percezioni che, spesso, guidano i nostri giudizi di valore portandoci all’errore. Inoltre, l’esercizio stesso si basa su una metodologia che fa utilizzo degli unici dati che abbiamo potuto raccogliere facilmente, con tutti i caveat del caso.

 

Servendoci infatti della piattaforma Transfermarkt, abbiamo valutato le perfomances dei direttori sportivi cercando di quantificare plusvalenze e minusvalenze. Nel caso degli acquisti, è più bravo chi riesce a scovare un talento, pagarlo poco e valorizzarlo nel corso del tempo; in caso della cessione di un giocatore, invece, la competenza sta nell’ottenere, chiaramente, il prezzo più alto possibile. Ebbene, come si presenta la nostra speciale classifica?

 

 

Diciamo subito che Marco Fassone, che pure compare all’ultimo posto, in realtà è stato valutato solo per ciò che ha fatto la scorsa estate, il che rende i suoi numeri sostanzialmente non confrontabili con quelli degli altri direttori sportivi, per cui abbiamo invece un record di 3 stagioni.

 

Guida il ranking Monchi, manager voluto fortemente da Pallotta e che, soprattutto negli anni di Siviglia, è stato bravissimo ad acquistare campioni in erba e a vendere i suoi giocatori al prezzo di top player. Che sia un dirigente peculiare lo mostra anche la sessione di calciomercato attualmente in corso: la trattativa per vendere Dzeko mostra come non necessariamente l’input delle sue attività sia quello delle prestazioni sportive del giocatore nel breve periodo (i goal del croato alla Roma fanno un sacco comodo). Ci sono chiaramente altre valutazioni a guidare le strategie del ds giallorosso (che alla fine, comunque, Dzeko non lo ha venduto).

 

Non stupisce l’ottimo risultato di Beppe Marotta che, d’altronde, era considerato un buon dirigente anche ai tempi della Sampdoria. La Juve è la squadra più aziendale di Italia e i risultati, sul campo e sul bilancio, si vedono eccome.

 

Al terzo posto c’è Walter Sabatini, che pare bravissimo davvero a intuire le potenzialità di un talento e che, quindi, ha ottime performances sul fronte degli acquisti: la tenacia con cui sta provando a chiudere la trattativa Pastore ha probabilmente il sapore nostalgico di un omaggio a una sua grande scoperta del passato.

 

Ben piazzato, a ruota, anche Igli Tare, che da anni segue per l’imprevedibile Lotito il mercato della Lazio, con buonissime plusvalenze realizzate sia con l’acquisto sia con la cessione dei giocatori.

 

Gli ultimi due posti in classifica meritano qualche commento: Piero Ausilio è probabilmente il peggiore del gruppo, se si coniugano risultati economici a quelli sportivi dell’Inter. È un manager, tuttavia, che proprio negli ultimi tre anni si è trovato a gestire un mercato difficilissimo, con i due vincoli del Settlement Agreement della Uefa e del blocco degli investimenti voluto dal governo cinese che detta la linea a Suning. Insomma, non è facile liberarsi di un ingaggio milionario come può essere quello di Nagatomo, né si può bussare alla porta del Paris Saint Germain chiedendo il prestito del Flaco Pastore offrendo una pizza.

 

Abbiamo tenuto in ultimo Giuntoli, in corrispondenza della sua posizione in classifica, a conferma dei limiti di questo esercizio: innanzitutto, la strategia di mercato non concerne l’operato di una sola persona e di una sola struttura. Secondariamente, l’obiettivo di una squadra di calcio è sì far quadrare i conti e, possibilmente, migliorare la situazione finanziaria della società. Ciò, però, si coniuga con l’esigenza di ottenere risultati sportivi importanti, perché essi stessi possono spingere i ricavi. Questo significa che, inevitabilmente, se si vuole aumentare la scala del fatturato è necessario fare anche importanti investimenti. Il Napoli di De Laurentis, in questo, è senz’altro un esempio tra i più evidenti nelle passate stagioni.

E mai come quest’anno l’investimento sembra ripagare gli sforzi fatti.