Il problema della disoccupazione femminile da record e del gender pay gap in Italia passa anche per la possibilità di avere servizi di accudimento dei figli in orario extrascolastico a prezzi sostenibili per tutte le famiglie. In questo senso il dato preoccupante che emerge da recentissimi dati Eurostat è però che nel nostro paese il 91,7% delle famiglie italiane non utilizza alcun servizio di questo tipo, contro una media europea è del 61,3%.
In Europa il 39% dei bambini con meno di 12 anni riceve questi servizi, e per due su 3 bambini che li usano il servizio la famiglia li paga, mentre un bambino su 3 riceve il servizio gratuitamente per ragioni economiche. In Italia queste percentuali sono rispettivamente del 4,9% (chi paga il servizio) e 3,9 (chi usufruisce ma non paga). Senza paragonarci al solito Nord Europa che in questo ha da decenni un sistema completamente diverso dal nostro (In Danimarca solo il 14% dei bambini non usa questi servizi) in Francia, Germania e Regno Unito a non usarli è rispettivamente il 59%, il 36% e il 35% dei bambini.
I dati Eurostat provengono dall’EU-Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) database per il 2016 sulla distribuzione del reddito, la povertà e le condizioni di vita. Con “formal childcare” Eurostat si riferisce a qualsiasi tipo di assistenza organizzata o controllata da una struttura pubblica o privata. Ciò significa che sono inclusi per esempio i babysitter qualificati organizzati e controllati da una struttura, anche se sono pagati direttamente dai genitori, ma non quelli che vengono “assunti” direttamente dalle famiglie.
Tuttavia, il vero dato interessante è perché questi servizi non vengono usati. Contrariamente a quanto si può pensare, non è il motivo economico in Italia la prima ragione. Solo il 22% delle famiglie afferma di non poter scegliere un servizio di questo tipo perché costa troppo. Certo, più di una famiglia su 5 è comunque una percentuale molto più alta rispetto alla media europea, ma il vero primo motivo è che il 48% delle famiglie che non usufruisce dichiara di non averne bisogno, che significa che o si ricorre ai nonni, o a babysitter non assunti formalmente, oppure che non si necessita del servizio perché uno dei due genitori non lavora. Secondo recenti dati Istat una donna su 3 che diventa mamma è costretta a lasciare il lavoro, mentre secondo OCSE il 78% delle donne italiane che ha rassegnato le dimissioni nel 2016 sono madri. Insomma, siamo davanti a un cane che si morde la coda.
Interessante anche notare che in Italia il problema “orari non adatti” è segnalato come uno dei principali ostacoli dal 4,2% di chi non usa il servizio, il doppio della media europea. Siamo ai primi posti anche per la “distanza dal servizio”, che è considerata un problema dal 4,4% delle famiglie, mentre la media europea è dell’1,5%.
Nel complesso, all’interno di quel 91% di bambini che non frequenta doposcuola, o che non è seguito da un babysitter, il 48% è perché la famiglia non ne ha bisogno, il 22,8% è perché costa troppo, il 4,4% per la distanza, il 4,2% per gli orari non idonei, il 3,4% perché non c’è posto per i loro figli e l’1,9% per la scarsa qualità del servizio, mentre una famiglia su 6 (14%) dichiara che il motivo è un altro ancora, non meglio precisato.
Nel complesso fra i paesi che non usano molto il servizio, non c’è molta differenza fra quanto vengono usati in città, nelle periferie delle città e nelle aree rurali. In Italia non usa il servizio il 91% di chi vive in città e il 94% di chi vive in provincia. Con alcune eccezioni: in Germania per esempio, in media grossa parte dei bambini frequenta un doposcuola strutturato, nella provincia sono molte più famiglie a farne uso (oltre il 70% contro il 50% delle famiglie di città). Stessa cosa in Belgio e nel Regno Unito: il 54% dei bambini inglesi in provincia usa il servizio, contro il 44% dei bambini di città.
Al contrario, in Svezia, Austria e Norvegia sono i bambini di città a usare di più questi servizi.