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Le exit in Europa valgono meno? Tutti i numeri sugli unicorni made in Ue

In Europa oggi sono attive oltre 150 imprese tecnologiche, con una capitalizzazione superiore al miliardo di dollari e circa 0,8 miliardi di valore medio: partendo da questo dato, la società di consulenza olandese Dealroom.co ha stilato un dettagliato rapporto per delineare quali sono gli unicorni più appetibili e remunerativi. Ripartendole così: 31 aziende private finanziate dai venture capital; 12 cresciute con operazioni di private equity e potenzialmente vicine alla exit; 35 sono di proprietà di grandi multinazionali in seguito ad acquisizione; le rimanenti 76 sono già quotate in Borsa ed alcune di queste non hanno mai conosciuto alcun round di finanziamento istituzionale attraverso capitale di rischio. Regno Unito, Germania e Svezia sono i Paesi che, sia storicamente sia in prospettiva futura, generano i maggiori rendimenti in Europa. Qualche nome noto che figura nella mappa realizzata da Dealroom.co? Da Spotify a Deliveroo, da Just Eat a Farfetch passando per il fashion marketplace inglese Improbable e arrivando alla spagnola Cabify. Quest’ultima, in particolare, è per ora l’unica startup europea, della decina in tutto il mondo, ad aver guadagnato lo “status” di unicorno nel 2018. Operativa anche in America Latina, ha raccolto finora 407 milioni di dollari di finanziamenti per il suo network capillare di trasporti che permette al singolo utente di noleggiare un veicolo tramite smartphone.
Il rapporto in questione evidenza anche i venture capital più assidui nell’aver investito in compagnie tecnologiche, citando fra i tanti i nomi di Index Ventures e Accel Partners (rispettivamente con sei e sette unicorni attualmente in portafoglio, HV Partners, Insight Venture. Baillie Gifford, Softbank e Atomico. Ma l’Europa produce un numero sufficiente di exit relative a startup e scaleup finanziate dai venture capital? La risposta degli analisti sta in questi numeri. Le dieci uscite più grandi rappresentano in genere, e lo dicono le operazioni di questi ultimi anni, il 70-80% dei ritorni degli investimenti iniziali. Nel 2017, l’esiguo numero di exit di grandi dimensioni (vedi l’israeliana MobilEye) ha determinato una riduzione del 60% del valore totale di realizzo.
Una lettura dell’operato dei VC europei arriva anche da PitchBook attraverso il suo recente “2017 European Venture Report”, secondo cui, l’anno passato, sono stati oltre 3.300 i deal conclusi (in calo del 24% rispetto al 2016) per quasi 17 miliardi di euro investiti, con una tendenza che vede privilegiare sempre di più le scaleup, e quindi le aziende innovative ormai fuori dalla fase di early stage. Non a caso il valore stimato degli investimenti per l’Italia si è fermato sotto i 109 milioni di euro, in 68 operazioni, contro gli oltre 209 milioni (121 deal) rilevati l’anno precedente. “L’ecosistema VC europeo – ha spiegato Cameron Stanfill, analista di PitchBook, in una nota – si conferma molto forte e la crescita del valore medio dei finanziamenti denota una certa maturazione. L’aspetto più critico rimane però quello delle exit, il cui andamento rimane tiepido”. L’imminente debutto, previsto per il 3 aprile alla Borsa di New York, di Spotify, la cui capitalizzazione è calcolata in circa 11 miliardi di euro, è sicuramente un passaggio importante. Innanzitutto per la modalità, il “direct listing”, attraverso la quale la società svedese del popolare servizio di streaming musicale (157 milioni di utenti nel mondo) diventerà una public company: l’unicorno principe dell’ecosistema europeo entrerà a listino con una quotazione diretta, senza intermediari e senza un aumento di capitale, bensì con il libero scambio delle sue azioni (sarà messo in vendita il 31% delle quote) a un prezzo che definirà il mercato. Spotify, insomma, va in cerca di fiducia a lungo termine da parte degli investitori.