A confrontare mappe nel dopo elezioni, sovrapporre il successo del Movimento 5 Stelle alle aree povere d’Italia – sud in testa – è stata la cosa più naturale. La questione è con tutta probabilità più complicata, e non sembra che geografia e lavoro siano in grado di spiegare tutto da soli.
Eppure esiste un altro problema totalmente trascurato dalla politica ma non per questo meno importante: quello generazionale. Secondo un sondaggio condotto da Quorum per SkyTG24 subito dopo le elezioni, il Movimento 5 Stelle è risultato di gran lunga il più votato fra gli under 35 – circa il 40% del totale –, mentre la fetta più ampia di over 65 – poco più di uno su quattro – si è invece diretta verso il PD.
I risultati di un solo sondaggio vanno sempre presi con cautela. Tuttavia anche al di là del voto la spaccatura economica fra generazioni non solo esiste oltre ogni dubbio, ma è diventata sempre più profonda, anno dopo anno.
Ce lo ricorda intanto qualche numero arrivato da poco dalla Banca d’Italia, che con la sua indagine sui bilanci delle famiglie italiane ha fatto luce sui cambiamenti principali della nostra economia dal 2006 al 2016. Tutti i dati del rapporto sono stati aggiustati per tenere in conto l’inflazione, e dunque il fatto che un euro di oggi vale necessariamente meno rispetto a uno di diverso tempo fa.
Per quel che interessa qui, l’estrema sintesi del rapporto è la seguente: negli ultimi dieci anni, e anche dopo la crisi economica, gli italiani più anziani sono l’unico gruppo che ha perso pochissimo o spesso nulla; viceversa, il conto è stato pagato soprattutto dai giovani. Per questi ultimi, in aggiunta, la ripresa non è praticamente mai arrivata e al più ci sono stati dei piccoli miglioramenti marginali – ma nulla in confronto a quanto hanno perso.
L’esempio più semplice e insieme evidente di questo enorme aumento della disuguaglianza generazionale arriva dal reddito medio per età. Tutto considerato, in dieci anni i protetti dal sistema pensionistico non hanno subito cali restando (con qualche su e giù) allo stesso livello del 2006. Nel frattempo il resto d’Italia ha attraversato la più grave crisi economica del dopoguerra con gli under 40, in particolare, il cui reddito è crollato del 20%.
Un altro modo di guardare al problema è attraverso la lente della povertà. Nel 2006 le famiglie composte da anziani erano povere tanto quanto altri gruppi come i 45-55enni, per esempio, e già molto meno dei giovani. Negli anni questa frattura si è allargata, con gli over 65 che ora risultano di gran lunga i meno poveri e tutti gli altri che lo sono diventati molto di più.
Il quadro, a grandi linee, resta simile anche considerando il tipo di reddito invece che la sola età. Dipendenti e autonomi che siano, per tutti i gruppi di lavoratori aumenta l’incidenza della povertà – unica eccezione, ancora i pensionati.
Se invece di considerare il fiume del reddito prendiamo invece il lago della ricchezza – a intendere la somma di risparmi, attività, immobili e così via accumulati nel tempo – a risaltare in negativo sono ancora gli under 40. La ricchezza media nelle famiglie giovani si è praticamente dimezzata passando da 200 a 100mila euro circa, mentre quella degli over 65 è certamente un po’ minore, ma ha comunque preso un colpo meno forte rispetto a qualunque altro gruppo di età.
Qualunque sarà il governo prossimo venturo, ogni intervento che allenti i cordoni del sistema pensionistico non farà che allargare ancora di più questo genere di disuguaglianza – a beneficio di chi povero non lo è quasi mai, e allo stesso tempo pagato da chi ha ancora sulla schiena il peso pieno della crisi.