Che sia neutrale o politico, che ci porti al voto in estate o completi la legislatura, tra i tanti temi dei quali il prossimo governo dovrà occuparsi c’è anche quello relativo alle politiche energetiche. Già perchè, dati alla mano, in Italia l’energia prodotta è sempre meno rinnovabile. E sempre più di importazione. Circostanze che, anche alla luce del dietrofront americano sull’accordo per il nucleare con l’Iran e agli effetti di questa decisione sui prezzi del petrolio, rischiano di avere più di un riflesso negativo sull’economia italiana.
Intanto, le rinnovabili. Dopo aver raggiunto nel 2014 il picco di 120 milioni di Mwh di produzione da fonti non fossili, il dato ha iniziato a scendere. Raggiungendo nel 2016 quota 108 milioni. Il contesto è però molto variegato e vale la pena osservarlo più da vicino.
La contrazione ha riguardato in massima parte la capacità dell’Italia di produrre energia idroelettrica. Che nel 2014 aveva raggiunto la quota di 58 milioni di Mwh, per scendere poi ai 42 milioni del 2016. Un calo superiore al 27%. Anche fotovoltaico e biomasse hanno registrato una leggera riduzione, mentre il geotermico e soprattutto l’eolico hanno vissuto un incremento. L’energia generata dal vento è infatti salita dai 14,8 milioni di Mwh del 2015 ai 17,7 dell’anno successivo. Questo incremento, però, è riuscito a coprire giusto un quinto del calo di produzione delle centrali idroelettriche. Un calo che però non è generalizzato, ma ha riguardato soprattutto le strutture di più grandi dimensioni.
Come si vede dal grafico, tra il 2014 ed il 2016 le centrali con una potenza superiore ai 10 Mw hanno ridotto la loro produzione da 44,4 a 31,6 milioni di Mwh. Quelle di dimensioni medie hanno registrato anche loro una contrazione, mentre per quelle più piccole c’è stato un leggero incremento. Largamente insufficiente, però, a coprire il deficit generato dalle centrali più grandi. Il risultato è che tra il 2014 ed il 2016 l’Italia ha ridotto la propria produzione di energia da fonti rinnovabili.
Di fronte a questo quadro, le soluzioni sono due. O si consuma meno energia, così da colmare il gap, oppure si produce quella necessaria in altri modi. Una produzione che, a livello italiano, fa rima con importazione. Già, perché dopo anni di calo, l’Italia ha visto la propria dipendenza energetica dall’estero ricominciare a crescere.
Proprio nel 2014 il Paese aveva toccato il minimo storico del proprio tasso di dipendenza energetica. Quell’anno il 75,9% della corrente utilizzata per alimentare case e fabbriche era di importazione. Un valore certamente consistente, ma appunto il più basso dal 1990 ad oggi. Ovvero dall’anno in cui Eurostat, fonte di questi dati, ha iniziato a censirli. Nel 2015 la dipendenza energetica italiana ha ripreso a salire, attestandosi nel 2016 al 77,5%. Certo, il record dell’86,5% segnato nel 2000 è ancora lontano, ma il trend è tutt’altro che positivo. E non deve consolare il fatto che sotto questo profilo l’Italia si trovi in buona compagnia.
Grazie alle proprie riserve petrolifere, la Norvegia è l’unico Paese ad esportare più energia di quanta ne consumi. Nello specifico, più di sei volte tanto. Ma questa, per l’Italia e per il resto d’Europa, è utopia. La realtà dei fatti è che Roma è la quarta capitale europea per tasso di dipendenza energetica dall’estero. E se si tiene conto che sul podio ci sono Malta, Cipro e Lussemburgo, si comprende ancora meglio l’entità del problema. Al prossimo governo il compito di affrontarlo.