Ormai dieci anni dopo la crisi, al mercato del lavoro italiano manca ancora qualche passo per tornare almeno dov’era un tempo. Secondo gli ultimi dati trimestrali OCSE il tasso di occupazione, ovvero il numero di persone che ha un impiego sul totale, resta ancora circa mezzo punto percentuale più in basso del massimo ottenuto nel 2007. Il che vuol dire che anche solo considerando il numero e non la qualità del lavoro resta ancora da fare – e parecchio, in effetti, perché anche prima della recessione l’Italia restava uno dei paesi in cui di persone con un impiego ce n’erano meno.
In tutto questo esiste però un settore che ha retto meglio degli altri al colpo della crisi, cioè l’alta tecnologia. Non parliamo certo di un boom, s’intende, ma in un momento di recessione seguita da una lenta ripresa anche le notizie medie se confrontate alle altre possono diventare buone. Partendo dai dati Eurostat scopriamo innanzi tutto che dal 2008 al 2017 ci sono circa 10mila persone in più nei settori high tech, e che oggi il peso di queste ultime sul totale di tutti gli occupati è stabile o appena leggermente superiore rispetto ad allora.
Guardando alle singole regioni, troviamo molti casi di crescita e uno in particolare di calo. Secondo le stime nello stesso periodo di tempo il lavoro ad alta tecnologia risulta in diminuzione nel Lazio, che peraltro è anche la regione in cui pesa di più, mentre aumenta fra l’altro in Liguria, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Veneto – anche se qui di poco.
Allargando la vista a tutt’Europa il paese in cui il lavoro high è cresciuto di più è invece la Spagna, in cui dieci anni rappresentava una fetta del totale quanto in Italia – il 3,3% – mentre oggi è salito di mezzo punto percentuale. In altre nazioni come Germania, Francia e Regno Unito le variazioni appaiono più piccole e anzi spesso nulle, nel complesso, ma si tratta anche di aree dove questo genere di posti contavano già di più rispetto all’Italia stessa.
Esiste poi un’ulteriore dimensione lungo la quale si è redistribuito il lavoro high tech, negli ultimi anni, che è quella di genere. Già in partenza si tratta di un insieme di lavori in cui prevale la presenza maschile, e nell’ultimo decennio questa caratteristica è diventata più acuta. Le donne impiegate in alta tecnologia sono passate dal 2,7 al 2,5% dell’occupazione totale, gli uomini cresciuti della stessa quantità relativa passando dal 3,8 al 4%.
Il grosso del calo femminile risulta in effetti nella manifattura, con circa 15mila occupate in meno, mentre nei servizi le lavoratrici sono aumentate di poco meno di 10mila unità. Per gli uomini, d’altra parte, il calo nell’industria è stato più contenuto in termini relativi, anche se naturalmente più consistente in valori assoluti, a causa di in un mercato del lavoro in cui essi tendono a lavorare molto più di frequente rispetto alle donne.
Da un punto di vista geografico, ampia parte del calo nell’occupazione femminile high tech si deve al Lazio, dove la fetta di lavoratrici high tech sul totale è diminuita di un punto e mezzo: più in fretta dell’equivalente maschile nella stessa regione. In Lombardia le occupate in alte tecnologia sono rimaste grosso modo le stesse – c’è una perdita ma è lievissima –, e questo è il bicchiere mezzo pieno. Quello mezzo vuoto è che non c’è traccia della corrispondente crescita che invece troviamo per gli uomini, e lo stesso vale anche per altre aree come Liguria o Toscana.
Un’altra distinzione importante da fare è quella fra industria e servizi. Gli occupati totali nell’high tech sono aumentati di 10mila unità, è vero, ma i due settori hanno ripartito il proprio peso in maniera molto diversa. La manifattura – persino ad alta tecnologia – in effetti ha visto calare il numero di occupati, mentre buona parte dei nuovi posti creati negli ultimi sono stati proprio nei servizi. E in questo senso anche l’alta tecnologia non fa eccezione: campo dove in effetti ne troviamo circa 40mila in più. La percentuale di lavoratori totali, in ciascun settore, riflette questo cambiamento, tanto che l’industria high tech nel 2017 vale lo 0,9% dell’occupazione totale, contro il 2,5 dei servizi.
Alta tecnologia o meno, il futuro sembra dirigersi comunque verso l’immateriale.