Tra l’Europa e gli Stati Uniti non ci sarà una guerra dei dazi. Dall’incontro a Washington tra il presidente Usa Donald Trump e il presidente della Commissione Europea Claude Juncker è arrivata un’intesa. Come Info Data abbiamo calcolato quanto sarebbe stato il valore a rischio di una eventuale guerra commerciale nel settore dell’automotive.
Come sappiamo, la nuova dinamica commerciale che sta prendendo piede con la politica protezionistica degli Stati Uniti presenta ingenti costi che sono, tuttavia, facilmente nonché pericolosamente ignorabili.
La recente dialettica adottata dal Presidente Trump a riguardo di potenziali dazi sul settore automobilistico Europeo non deve far rabbrividire solo ed esclusivamente il board di qualche compagnia di Wolfsburg o di Monaco: l’economia di oggi è infatti caratterizzata dalle complesse ed estese ramificazioni delle catene globali del valore.
Sempre restando nell’ambito del settore automobilistico, il nostro prototipo ideale della vettura tedesca, ad esempio, acquisisce valore con l’utilizzo di manodopera polacca o ceca, con pelli lavorate in Francia, con gomme fabbricate in Italia, e materie prime importate dal Sudamerica.
Ragionando in termini di valore aggiunto (piuttosto che di partite correnti), è quindi più efficace stimare come, e da dove, emerge il valore di un prodotto finito. Con l’intento di analizzare l’impatto che i dazi Usa avrebbero sul settore automobilistico, abbiamo usato il World Input-Output Database, che riporta quali industrie di quali paesi hanno contribuito ed aggiunto valore ad un prodotto di un altro particolare settore nel 2014. In quell’anno, l’industria manifatturiera dei motoveicoli, dei conduttori, e dei semiconduttori tedesca ha fatturato 445 miliardi di dollari (368 miliardi in euro) ed aggiunto un valore pari a 140 miliardi di dollari. Sempre nel medesimo anno, per sostenere questa produzione, il colosso industriale tedesco ha consumato beni intermedi per un valore che ha sfiorato i 300 miliardi di dollari. L’Italia, in termini di valore aggiunto dai beni intermedi nostrani, ha contribuito $8,3 miliardi, ovvero il 2,8% del totale. Quanto sono esposti, dunque, i fornitori di sub-prodotti automobilistici al rischio dogana?
Con dati WIOD ed OEC (Organisation for Economic Complexity affiliata con il MIT di Boston) possiamo stabilire quanto conta l’Italia nel commercio automobilistico dei 5 maggiori partner degli Usa: si tratta di Canada, Messico, Giappone, Germania e Corea del Sud. I sub-prodotti provenienti dal nostro paese ed usati nelle catene di montaggio dei 5 paesi citati hanno aggiunto, nel 2014, un valore complessivo di 1,68 miliardi di dollari. Se poi sommiamo questa cifra al valore delle esportazione di auto dall’Italia (considerando solo il valore aggiunto esclusivamente da sub-prodotti ed input italiani, ossia il 77% su un totale export di circa 5 miliardi), la stima complessiva si aggira ai 5,54 miliardi
Nella Infodata che vi proponiamo qui, invece, tentiamo di visualizzare il valore aggiunto legato all’export automobilistico negli Usa. Cioè quanto importano gli Stati Uniti nel settore automotive. Come si può apprezzare l’Italia esporta direttamente negli Usa parti e prodotti automobilistici per un valore complessivo di 5 miliardi; mentre come è immaginabile il vicino Messico è il “negozio” di ricambi, accessori e auto fatte e finite da cui si serve l’industria e il mercato interno Usa.
Inoltre, la grande maggioranza della produzione dell’automotive canadese e messicana vanta marchi statunitensi quali General Motors e Ford: non sorprende, dunque, che rispettivamente il 40% e il 23,3% del valore aggiunto di queste industrie derivi da sub-prodotti a stelle e strisce. Questo numero non è altro che la proporzione del consumo di beni intermedi americani da parte dell’industria dell’auto in Canada e Messico.
La politica minacciata da Trump vuole disincentivare le grandi compagnie americane a muovere lavori manuali (i cosiddetti blue collar che tanto preziosi si sono rivelati per la sua elezione) verso i paesi partner del NAFTA ed altri. [https://twitter.com/realdonaldtrump/status/817071792711942145]
Colpendo Unione Europea, NAFTA, Giappone, Corea del Sud e Cina, questa politica protezionistica andrebbe a turbare addirittura il 17% delle catene del valore delle stesse compagnie americane: si parla di un valore spropositato di $78 miliardi. Tuttavia, è più saggio pensare che sarebbero i consumatori, piuttosto che le aziende, ad accollarsi questo rincaro.
Autore Ferdinando Croce
Elaborazione dati Marco Guerra (Ufficio analisi e studi Il Sole 24 Ore).