A voler tracciare una rotta dettagliata – provincia per provincia – della crescita economica, scopriamo che gli ultimi dati resi da poco disponibili da Eurostat arrivano fino al 2015. Il numero tondo consente di fare un confronto dal 2000 in avanti – cinque anni per volta – e capire come si è evoluta la situazione degli europei in generale e degli italiani in particolare. Recessione recente a parte, emergono tendenze di lungo periodo che mostrano con molta chiarezza in che direzione ci stiamo muovendo.
Prendendo come riferimento la media del continente, all’inizio del nuovo millennio il centro-nord correva (con qualche eccezione) a un passo più lungo del resto d’Europa. Già nel 2005 però l’altra metà dell’Abruzzo che ancora risultava sopra la media finisce dall’altro lato, insieme a pezzi di Lazio. Ancora più avanti, e due anni dopo l’inizio della crisi economica, l’arancione di chi è rimasto indietro continua a risalire la penisola fino a lambire l’Umbria, le Marche e un pezzo di Toscana, per poi arrivare nel 2015 anche in parti dell’Emilia Romagna. Se un tempo metà Italia poteva vantare un tenore di vita almeno uguale a quello degli altri europei, ora questo gruppo si è fatto ben ristretto.
Questa differenza, sempre più pronunciata, può essere ricondotta a diversi fattori. Dal nostro punto di vista di italiani, il principale è tutto sommato semplice: negli ultimi decenni la nostra economia è cresciuta meno delle altre, è caduta di più durante la crisi economica, e si è ripresa con maggior lentezza.
Secondo calcoli dell’OCSE che arrivano fino al 2017, fra le cinque principali nazioni del continente quanto a reddito pro capite solo la nostra resta ancora ampiamente sotto i valori pre-crisi: Francia, Regno Unito e (soprattutto) Germania dopo la caduta hanno fatto passi in avanti, la Spagna è praticamente tornata dov’era prima della recessione, mentre l’Italia ha ancora un buco da colmare – e di dimensione tale per cui il reddito medio di chi ci vive risulta leggermente inferiore a quello del 1999.
Siccome però stiamo facendo un confronto usando la media europea, di velocità non conta solo la nostra ma anche quella degli altri. Diversi grandi paesi tutto sommato hanno tenuto il passo o sono arretrati leggermente rispetto alla totalità del gruppo, mentre chi partiva da una posizione più svantaggiata ha corso in fretta e ridotto il distacco con il resto della squadra.
Si tratta in particolare di diverse nazioni dell’est Europa come Polonia o Repubblica Ceca i cui abitanti sono partiti da un livello di reddito assai inferiore rispetto al resto del continente. Negli ultimi decenni però non solo si sono avvicinati molto, ma in diversi casi sono andati così bene che ormai alcune delle loro aree avanzate – è il caso di Praga o Varsavia – hanno in media un tenore di vita migliore delle più ricche province italiane.
Restando alla sola Italia, il calo rispetto alla media complessiva è stato generalizzato. Ma questo in paese tanto diviso come il nostro porta comunque a storie molte diverse fra loro. Se prendiamo in maniera un po’ brutale la sola riduzione del reddito in confronto alla media europea, in punti percentuali la provincia che ha fatto peggio dal 2000 al 2015 è stata Cremona (-48 punti), seguita da Lecco e Como (-43) e poi Roma (-42). Questo è il gruppo dei nobili decaduti, la cui corsa è stata più lenta rispetto agli altri, ma che almeno aveva la fortuna di partire da un buon livello. Il caso della capitale è emblematico: a inizio millennio chi ci viveva poteva godere di un reddito oltre 60 punti superiore alla media europea. Quindici anni dopo un vantaggio esiste ancora, ma i punti si riducono a 20.
Un altro gruppo è quello dell’ex classe media, di chi tutto sommato non se la cavava male ma è poi caduto sotto la linea passando da blu ad arancione – magari chiaro, ma pur sempre arancione. È questo il caso di gran parte del centro Italia, un pezzo di nord-ovest e persino qualche singola provincia del nord-est come Gorizia.
Le ultime aree da raccontare comprendono chi già nel 2000 partiva da un livello inferiore alla media. In teoria per le aree povere crescere e agguantare le altre è molto più facile, ma comunque servono le condizioni giuste e certo lo sviluppo non si realizza da solo per miracolo. Tanto che in effetti il sud e le isole erano già poveri allora, e rispetto al resto d’Europa lo sono diventato ancora di più. Quando gli altri corrono, anche solo restare fermi diventa un problema.