L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato il rapporto PASSI, che periodicamente fa il punto sullo stile di vita degli italiani, cercando di pesare, fra le altre cose, i principali fattori che minano il nostro benessere, esponendoci al rischio di sviluppare malattie croniche. In particolare qui parliamo delle malattie cardiocircolatorie, prima causa di mortalità “prematura”, cioè prima dei 70 anni circa, che quando non ci uccidono, ci possono far perdere anni di vita vissuta pienamente, costringendoci a fare i conti con una salute precaria.
Il dato principale che emerge è che complessivamente quasi 4 persone su 10 hanno almeno tre dei fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, fumo di tabacco, sovrappeso o obesità, sedentarietà, e scarso consumo di frutta e verdura.
Solo due persone dai 18 ai 69 anni su 100 non mostrano nessuno di questi fattori di rischio, un quarto ne ha uno, un terzo due, e il rimanente 38% tre o più. Sono di più le persone che convivono con 5 o più fattori di rischio rispetto a chi non ne presenta nessuno.
Un adulto su 5 è iperteso, sempre uno su 5 ha il colesterolo alto, una persona su 3 ha uno stile di vita troppo sedentario, e addirittura 9 italiani su 10 non mangiano le famose cinque dosi raccomandate di frutta e verdura giornaliere. Il 26% degli intervistati è fumatore e il 42% è sovrappeso o obeso. Nel dettaglio, un italiano su 10 è obeso.
Perché stiamo perdendo la partita
In molti casi la reazione diffusa di fronte a questi dati è che di fronte alla malattia ci sia poco da fare, se non correre ai ripari. Ma non è così: la maggior parte di questo rischio possiamo facilmente evitarcelo anche se finora abbiamo avuto uno stile non sano. Basta iniziare a invertire la rotta, per esempio smettendo di fumare, facendo maggiore educazione alimentare, non abusando di alcol e facendo più attività fisica.
Questi dati ci mettono davanti al fatto che per alcuni di questi fattori d rischio in questi anni stiamo decisamente perdendo la partita, e questo per due motivi: primo, perché, non siamo riusciti in dieci anni ad abbassare la percentuale di persone sovrappeso o obese, e sappiamo che l’obesità è un fattore di rischio e di complicanza per la maggior parte delle malattie, per non parlare della maternità.
Ma soprattutto perché abbiamo fallito nell’ “educazione” alla salute negli ultimi venti-trent’anni di chi non ha potuto o voluto studiare, e di chi si trova a convivere con grosse difficoltà economiche.
La differenza fra gruppi di popolazione in termini di presenza di fattori di rischio è ancora molto ampia. L’eccesso ponderale per esempio è una caratteristica associata a determinanti sociali sfavorevoli, essendo più frequente fra le persone con difficoltà economiche o con un basso livello di istruzione. Si osserva inoltre un gradiente geografico con prevalenze di sovrappeso e obesità crescenti dal Nord al Sud Italia, dove in alcune Regioni si sfiora e si supera il 50%.
Non si tratta di scelte, ma di essere in condizione di scegliere
Certo, non si può nemmeno ignorare il fatto che non sempre non fumare, non abusare di alcol, non nutrirsi in modo sano, non fare attività fisica è questione di scelta. Siamo davanti al famoso cane che si morde la coda: come evidenziava uno studio (anche italiano) pubblicato su The Lancet un anno fa , contare solo su uno stipendio molto basso può rivelarsi letale quanto fumare, avere il diabete o condurre una vita sedentaria. Perché? Perché non ci permette di scegliere davvero il nostro stile di vita, come rileva in più occasioni anche il noto epidemiologo Michael Marmot.
Lo scarto è ben prima della laurea
Partiamo dall’ipertensione, che colpisce il 43% delle persone che non hanno alcun titolo di studio oltre la licenza elementare, percentuale che scende al 25% fra chi ha la licenza media, al 15% fra i diplomati e al 12% fra i laureati. È inoltre ipertesa una persona su quattro fra chi dichiara di avere molte difficoltà economiche, contro una persona su sei fra chi non ha alcun problema economico.
Fra chi ha il colesterolo alto, la cui correlazione con un’alimentazione sbagliata è ben documentata, il gap è ancora più accentuato: il problema riguarda il 37% di chi non ha alcun titolo di studio, il doppio rispetto al gruppo dei laureati. Fra chi ha la licenza media la percentuale è del 26% e del 18% fra i diplomati.
Per quanto concerne invece l’obesità, riguarda il 41% di chi non ha titoli di studio, il 36% di chi ha la licenza media, il 29% dei diplomati e il 24% dei laureati.
Per il diabete la differenza è ancora più marcata: il 15% di chi non è andato oltre le scuole elementari è diabetico oggi rispetto al 6,4% di chi ha la licenza media, al 3,2 dei diplomati e al 2,3% dei laureati.
Una particolarità dei laureati emerge nel consumo di frutta e verdura: la percentuale di persone senza titolo di studio e di diplomati che ne consumano le dosi consigliate è grosso modo la stessa, mentre fra chi ha un diploma e chi è laureato il salto è di oltre tre punti percentuali.
Possiamo concludere quindi che il gap più ampio è sempre fra le fasce di chi ha studiato meno, mentre il salto è molto meno pronunciato fra diplomati e laureati. Certo, dobbiamo considerare che per alcuni fattori l’età è cruciale, e il fatto che diplomarsi o laurearsi non era così diffuso fra persone nate oltre cinquant’anni fa.
Tuttavia, non possiamo non riflettere sul fatto che lo scarto vero e proprio, cioè dove pare che non abbiamo avuto successo nel comunicare, è quello fra chi non ha ottenuto un diploma, fermandosi alla terza media, e chi ha proseguito gli studi con la scuola superiore che fino a pochi anni fa non era considerata scuola dell’obbligo.
Forse dovremmo iniziare a concentrare i nostri sforzi su pensare a strumenti più efficaci per comunicare con questa fascia di persone.