Gli Stati Uniti hanno perso il loro primato sul piano scientifico. A dirlo sono l’Accademia Reale Svedese delle Scienze e il Karolinska Instituet di Stoccolma. Ovvero gli enti che assegnano i premi Nobel per la fisica, la chimica e la medicina. La conferma? Sta nei numeri.
Numeri che sono stati raccolti da Claudius Gros, docente all’Istituto di Fisica teorica della Goethe Universität di Francoforte sul Meno, in uno studio pubblicato sulla rivista Royal society open science. In particolare, sono stati presi in considerazione i riconoscimenti andati negli anni a scienziati americani, inglesi, tedeschi e francesi. Questo perché i premi vinti da studiosi originari di questi Paesi sono in un numero tale da permettere un’analisi significativa. Sia in termini storici, che dal punto di vista della produttività scientifica di queste nazioni in ottica futura. Il risultato è rappresentato su questo grafico:
Come si vede, fino al 1960 era la Germania la nazione che aveva dato i natali al maggior numero di vincitori di premi Nobel in ambito scientifico. Dal computo sono infatti esclusi quelli per la pace e la letteratura. Da quell’anno in poi gli Stati Uniti hanno preso il sopravvento, distaccando i tre Paesi europei considerati nello studio. Bene, ma allora come può Gros arrivare alla conclusione che il primato scientifico statunitense, ammesso e non concesso che lo si possa misurare in termini di Nobel vinti, sia in declino? Il “segreto” sta nella normalizzazione del dato. Ovvero nel considerare il numero dei vincitori del premio assegnato a Stoccolma ogni 100 milioni di concittadini.
In questo caso il primato spetta al Regno Unito, che diventa il Paese ad aver visto la maggior quota di vincitori del Nobel rispetto al totale della popolazione. Gli Stati Uniti scendono al terzo posto, sopravanzati anche dalla Germania. Il grafico, però, mostra ancora un aumento delle vittorie per 100 milioni di abitanti a stelle e strisce, che in previsione potrebbero raggiungere e superare quelle tedesche. Se però invece di considerare il dato complessivo si guarda alle vittorie per singolo anno, sempre normalizzate, il discorso cambia:
Come si può osservare, la curva viola che rappresenta la situazione americana ha raggiunto il suo picco nella seconda metà degli anni ‘70, innescando quindi una parabola discendente. La Germania e, soprattutto, la Francia, sono ormai da decenni ai valori minimi. Mentre il Regno Unito, dopo un tonfo durante gli anni ‘90, ha ripreso a salire e ora è tornato ai livelli che hanno caratterizzato i risultati della ricerca britannica in termini di Nobel vinti per tutto il Novecento.
Dopodiché, resta da capire se i premi dell’Accademia di Svezia rappresentino il modo più efficace per misurare la produzione scientifica di un Paese. Perché se si guarda, ad esempio, alla spesa in ricerca rispetto al Pil, il primato non è più britannico. Secondo la Banca Mondiale, nel 2015 Washington ha investito in questo senso il 2,79% del Pil, contro l’1,7 di Londra, il 2,88% di Berlino ed il 2,23 di Parigi. Oppure chissà, in futuro questi maggiori investimenti saranno ripagati in termini di premi Nobel vinti.