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cronaca

Troppi farmaci ai bambini: ecco dove stare più attenti

I numeri contenuti all’interno dell’ultimo rapporto OSMED 2018 di AIFA  parlano chiaro: i bambini italiani assumono molti farmaci, in molti casi non necessari o troppo potenti per il problema da trattare, in particolare antibiotici e medicinali per problemi respiratori, specie prima dei 3 anni.
Al 49,9% dei bambini e ragazzi con meno di 18 anni è stato prescritto un qualche farmaco nel corso del 2017 e la maggior parte delle prescrizioni (5,4 milioni, pari al 44,7% del consumo totale dei farmaci in età pediatrica) riguarda antibiotici, assunti dal 38,3% dei minori per una media di 2,6 confezioni pro capite all’anno. L’associazione amoxicillina/acido clavulanico (antibiotico) è addirittura al primo posto tra i primi 30 principi attivi a maggior consumo nella popolazione pediatrica per l’anno 2017. Quasi un terzo di questi primi 30 principi attivi a maggior consumo riguarda l’apparato respiratorio (11 principi attivi), e seguono i farmaci antimicrobici per uso sistemico (8 antibatterici e un antivirale).

I grandi utilizzatori sono i più piccoli, i bambini con meno di 3 anni di età: addirittura oltre la metà dei bimbi con meno di un anno di età ha assunto antimicrobici e oltre il 40% farmaci per l’apparato respiratorio, e non parliamo certo qui delle soluzioni saline.

Per l’età pediatrica il rapporto raccoglie i dati provenienti da sei Regioni rappresentative delle diverse aree geografiche (Lombardia e Veneto per il Nord, Lazio e Toscana per il Centro e Campania e Puglia per il Sud) con una popolazione residente di circa 34,5 milioni di individui dei quali oltre 5,8 milioni con meno di 18 anni.

Non c’è da stupirsi dal momento che secondo quanto emergeva da una nostra revisione pubblicata già nel 2011 che aveva esaminato gli studi precedenti su questo argomento i bambini italiani erano risultati essere quelli che assumevano più antibiotici rispetto ad altri paesi come Canada, Stati Uniti, Olanda, Danimarca e Regno Unito” ci spiega Antonio Clavenna, Responsabile dell’Unità di Farmacoepidemiologia del Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

Sono due i problemi nella realtà delle prescrizioni di antibiotici in età infantile: la scelta da parte del pediatra di prescrivere il farmaco anche per semplici raffreddori, dove cioè la situazione rientrerebbe comunque anche senza l’ausilio del medicinale, e quella di proporre farmaci di seconda o addirittura terza linea come prima scelta. Gli antibiotici per esempio non sono tutti ugualmente indicati per il medesimo grado di gravità dell’infezione. Ci sono quelli detti di prima linea che sono indicati per il trattamento di infezioni meno gravi, e solo qualora non dovessero produrre gli effetti sperati è lecito passare ad antibiotici di seconda e in seguito terza linea.
Proporre un antibiotico troppo “potente” per un’infezione non grave può portare a conseguenze non banali in termini di salute pubblica, specie se questa scelta è diffusa. La minaccia sottesa alla leggerezza nell’uso dell’antibiotico si chiama farmaco-resistenza. Per l’OMS é allarme rosso: la sintesi di nuovi possibili antibiotici richiede tempi molto più lunghi rispetto alla rapidità con cui si rafforzano i batteri esistenti, in conseguenza di un uso troppo massiccio dei farmaci che fa sì che sviluppino appunto resistenza. A maggio del 2017 l’OMS ha contato 42 nuove molecole (33 antibiotici e 11 farmaci biologici) in fase di studio. Il problema è che a fronte di dieci i nuovi possibili farmaci nei prossimi cinque anni, sono 12 i batteri ad alta e media pericolosità, escludendo la tubercolosi, più tutti gli altri.

Dai dati OSMED notiamo che più del 40% delle prescrizioni in età pediatrica non riguardano antibiotici di prima linea, come l’amoxicillina (una penicillina semisintetica), ma di seconda o terza scelta, fra cui per esempio alcune cefalosporine. E non serve dire che un farmaco di seconda linea costa di più rispetto a uno di prima linea. Per l’amoxicillina, indicata per otiti, faringiti, polmoniti, si spende circa 4-5 euro a confezione, mentre per alcune cefalosporine almeno il doppio” spiega ancora Clavenna.
Lo stesso vale per i macrolidi, anch’essi di seconda linea, utilizzati per trattare le infezioni polmonari e broncopolmonari dovute a un batterio – il micoplasma – che risponde soltanto ai macrolidi. “Al di fuori di questo caso – e dei bambini con allergia alle penicilline – però prescrivere macrolidi non è corretto – continua Clavenna – è preferibile un antibiotico di prima linea come l’amoxicillina.”

Un altro gruppo di farmaci ampiamente prescritti ai bambini sotto i tre anni sono i cortisonici per via inalatoria, cioè in aerosol, per trattare i problemi respiratori. Il più prescritto è il beclometasone, assunto dall’11% dei bambini italiani, secondo il rapporto OSMED. “Anche qui la prescrizione è spesso eccessiva. Il beclometasone è adatto per trattare l’asma, mentre viene prescritto per semplici tossi, mal di gola e raffreddori, senza che vi siano studi scientifici che dimostrino la sua efficacia per queste malattie. Anzi, nel 2014 noi dell’Istituto Mario Negri abbiamo addirittura dimostrato in una nostra ricerca indipendente finanziata da AIFA e pubblicata su Pediatrics  , che il beclometasone non solo non funziona in casi dispnea virale, ma non porta nemmeno benefici nella riduzione dei sintomi delle infezioni del tratto respiratorio.” Insomma, se l’infezione o il raffreddamento rientra dopo qualche ora o giorno non è merito del farmaco e se proprio vogliamo aiutare il bambino è sufficiente l’utilizzo della soluzione salina. “Inoltre, per quanto riguarda l’asma cronica, può essere diagnosticata solo dopo i 4-5 anni, e pertanto non si spiegherebbe comunque il paradosso che questi farmaci sono molto più prescritti nei bambini in età prescolare che in quelli di 6 o più anni.