Nel 2016 la ricerca intra-muros, quella cioè svolta all’interno delle singole realtà e senza collaborazioni esterne, ha beneficiato di finanziamenti per 23,2 miliardi di euro. Una cifra in aumento del 4,6% rispetto all’anno precedente. E che ha contribuito ad una lieve crescita dell’investimento in R&D sul totale del Pil, passata dall’1,34% del 2015 all’1,38% dell’anno successivo. A dirlo è Istat, che certifica come gran parte dei meriti sia da ascrivere alle imprese.
Già, perché nel periodo preso in considerazione le aziende italiane hanno aumentato del 9,3% il proprio investimento in ricerca e sviluppo, superando così i 14 miliardi di euro di stanziamento. Un impegno che è tradotto anche in un aumento di oltre il 20% del personale impiegato in R&D, che in numeri assoluti hanno superato le 164mila unità.
Nel grafico è mostrato l’investimento per singolo settore nel 2016. Più una sfera è grande, maggiore è la cifra impegnata. Il colore indica invece il cambiamento rispetto al 2015: dove tende al verde c’è stato un incremento, dove vira al rosso si registra invece una contrazione.
Con poco meno di 5,6 miliardi, le università sono la seconda realtà per investimento in ricerca dopo le imprese, anche se il 2016 ha visto una contrazione dello sforzo economico pari all’1%. Le accademie impiegano circa 80mila ricercatori, la metà di quelli in forza alle imprese. In totale, due anni fa erano più di 290mila gli addetti alla ricerca e sviluppo.
Non tutta la ricerca, però, è uguale. E il fatto che a trainare gli investimenti siano le imprese si riflette anche sugli obiettivi perseguiti da questi 290mila operatori. In generale, per ogni euro speso in R&D, 23,2 centesimi vanno alla ricerca di base, quella cioè che mira ad aumentare le nostre conoscenze. La fetta più grande, pari a 43,3 cent, va invece alla ricerca applicata, ovvero finalizzata ad un avanzamento tecnologico. Infine 33,4 sono impiegati per lo sviluppo sperimentale. Ovvero per l’innovazione di processo o di prodotto.
Il grafico mostra come cambi la situazione a seconda di chi sia a staccare l’assegno per sostenere il lavoro dei ricercatori. L’università si concentra ovviamente sulla ricerca di base: il 56% dei suoi fondi è andato infatti in questa direzione. Mentre le imprese, naturalmente più interessate a trasferire sul mercato le nuove conoscenze, hanno dedicato appena il 9,3% dei 14 miliardi stanziati a questo tipo di ricerca. Quasi la metà di questi fondi è andata invece all’innovazione di processo o di prodotto. Col risultato che il Paese spende meno per ottenere nuove conoscenze e molto di più per trovare un’applicazione pratica a quelle già in nostro possesso.