In Europa oggi è come se una donna lavorasse gratis a gennaio e a febbraio, ogni anno, rispetto a un collega uomo. Le donne dovrebbero lavorare infatti 59 giorni in più all’anno per ricevere lo stesso stipendio di un maschio a parità di mansione, perché per ogni euro di stipendio di un uomo, una lavoratrice guadagna solo 84 centesimi.
Questo emerge da un rapporto di Oxfam fresco di pubblicazione, che – si badi – si basa prevalentemente su dati e testimonianze raccolti in Italia, Francia, Spagna e Regno Unito. Sappiamo bene infatti che parlare di “paesi ricchi” e “paesi poveri” è un modo frettoloso di trattare la questione. Il nocciolo è quanta disuguaglianza vi è all’interno di un paese, in questo caso quante donne invisibili si alzano ogni mattina per andare al lavoro sottopagate e vivendo una vita a rischio di povertà.
In Italia il 12% delle donne che lavora è a rischio povertà, numero che ci colloca al quarto posto in Europa e fra i paesi dove questo problema sta crescendo rapidamente. Si chiamano in inglese “low-paid workers”, lavoratori sottopagati: sono quelli che in Italia guadagnano 8,3 euro l’ora, in Francia 10 euro, in Spagna 6,6 euro e in Gran Bretagna 9,9 euro l’ora. Nel caso delle donne il meccanismo perverso è semplice: essere sottopagate e lavorare di meno, più il peso di tutte le attività di cura della famiglia, intendendo spesso anche gli anziani, porta molte di loro a essere lavoratrici sì, ma a rischio di povertà. In Europa due terzi delle madri single è in questa condizione, denuncia Oxfam.
Centrale è il problema del part-time involontario: a livello europeo sono almeno il doppio le donne che sono state costrette a “scegliere”un part-time involontario rispetto agli uomini. In Francia per esempio nel 2017 le donne rappresentano il 75,8% del totale dei lavoratori part-time involontari. Tendenze simili si riscontrano in Italia, con il 69,5% delle donne part-time involontarie, in Spagna (69,79%) e nel Regno Unito (59,5%).
Uno snodo importantissimo da considerare è quello delle madri sole. In questo periodo di forte dibattito intorno alle misure proposte dal Decreto Pillon, molto è stato detto, assumendo come narrazione portante quella secondo cui le donne separate o divorziate di fatto possono vivere una vita agiata grazie all’assegno di mantenimento. Dai numeri però sembra emergere una realtà in molti casi differente. La condizione economica delle madri sole è spesso critica: quelle in povertà assoluta sono l’11,8% del totale, a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 42,1% e nel Mezzogiorno arrivano al 58%. Si tratta di dati Istat relativi al 2016. In Europa – mostra invece Oxfam – le famiglie monoparentali (solitamente composte da mamma e figli) sono doppiamente a rischio di povertà rispetto a famiglie con due adulti: 2 su 10 contro 1 su 10. Una su due ha problemi a sostenere una spesa imprevista di 800 euro e quasi una su 5 è in ritardo nel pagamento delle bollette, affitto e mutuo, mentre altrettante non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione. Nel 2016 (sempre dati Istat) lavora il 63,8% delle madri sole (era il 71% nel 2006), il 24,4% è inattiva, l’11,8% è disoccupata.
E poi ci sono le casalinghe, oltre 7 milioni, il 60% delle quali con meno di 65 anni, l’8,6% con meno di 35 anni. Il 40% delle casalinghe vive nel nord Italia. 12 donne su 100 fra i 35 e i 44 anni sono casalinghe, come il 18% delle 45-54 enni e il 20% delle 55-64enni. Bene: la loro condizione economica è ben peggiore rispetto alle donne che lavorano. Stando agli ultimi dati Istat pubblicati a luglio 2017, nel 2015 una casalinga su dieci è in povertà assoluta e solo una su tre è molto soddisfatta della propria vita (si consideri che l’età media è 60 anni) mentre fra le occupate a essere molto soddisfatta è la metà delle intervistate. È in povertà assoluta il 20% delle casalinghe con meno di 34 anni e il 15% delle 35-44enni contro il 5% delle lavoratrici della stessa età. Lo è il 10% delle 45-54 enni contro il 3% delle occupate.
Cosa fare, dunque? Sicuramente Rivedere il sistema fiscale sul secondo percettore di reddito per migliorare gli incentivi finanziari all’inserimento lavorativo di entrambi i coniugi, scoraggiare il ricorso a forme di lavoro precario e al part time involontario che colpisce soprattutto le donne e aumentare i servizi pubblici alle famiglie e per la cura dei figli nei primi anni di vita rafforzando per esempio la rete di asili nido pubblici a costi accessibili. Ma è anche – chiedono gli esperti di Oxfam – introdurre sgravi contributivi in favore dei datori del settore privato che sottoscrivono contratti collettivi aziendali recanti l’introduzione di misure di conciliazione tra vita professionale e vita privata e mantenere e rafforzare l’esercizio di gender budgeting introdotto con la legge di bilancio 2017 a cui è importante possa affiancarsi una valutazione indipendente.
In sostanza niente di più che un paese più a misura di donna.