Victoria Marinova è la terza giornalista assassinata nel territorio dell’Unione Europea negli ultimi dodici mesi. Lo scorso febbraio la stessa sorte è toccata al reporter slovacco Jan Kuciak e, prima ancora, alla giornalista di inchiesta Daphne Caruana Galizia, uccisa con un autobomba un anno fa a Malta.
In tutto sono 107 i cronisti uccisi nell’Europa continentale dal 1992 a oggi, di cui ben 33 negli ultimi dieci anni. Numeri preoccupanti, che riportano a galla il tema della sicurezza dei giornalisti in un Europa sempre più insofferente verso chi di mestiere informa.
Il corpo della presentatrice televisiva bulgara è stato trovato la notte del 6 ottobre in un parco lungo le rive del Danubio della cittadina settentrionale di Ruse, al confine con la Romania. Victoria Marinova ha subito violenza sessuale prima di essere strangolata a morte.
Una settimana prima aveva esordito il programma televisivo Lie-detector da lei condotto in cui intervistava un collega romeno e uno bulgaro in merito alla loro inchiesta sull’appropriazione indebita di fondi strutturali UE nei rispettivi paesi, denominata GPgate. I due giornalisti erano stati precedentemente arrestati per aver ripreso persone legate all’inchiesta.
“Il pericolo che corrono i giornalisti nell’Unione Europea, in particolare i giornalisti di inchiesta, deve essere considerato in termini di minacce di vario tipo e dalla grande complessità, all’interno di un ambiente mediatico che cambia rapidamente”, afferma Tom Gibson, portavoce per l’Europa dell’ong Committee to Protect Journalists (Cpj).
La Bulgaria figura in ultima posizione tra i paesi membri dell’Unione Europea nel Press Freedom Index, stilato ogni anno da Reporters Without Borders. L’ultima edizione della relazione sulla libertà di stampa nel mondo definisce la Bulgaria come “un paese in cui essere giornalisti è pericoloso”, in particolare a causa “della diffusa collusione e corruzione tra il potere politico e gli oligarchi”. Il report prosegue citando un caso su tutti: “L’esempio più aberrante della situazione attuale [in Bulgaria, ndr] è quello di Deylan Peevski, ex capo dei servizi segreti e oggi proprietario della New Bulgarian Media Group”. Il gruppo è anche l’editore di sei giornali e controlla circa l’80% della carta stampata. “La distribuzione dei fondi europei a determinati giornali è fatta nella più totale mancanza di trasparenza – scrive Reporters Without Borders – e di fatto consiste in un incentivo a non occuparsi di temi scottanti”.
Nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del cadavere di Victoria Marinova, colleghi e persone a lei vicine hanno rivolto l’attenzione all’ultima trasmissione televisiva della conduttrice quale possibile movente dell’assassinio. L’ipotesi, caldeggiata via Twitter dal vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans, è tenuta in considerazione anche dalla polizia locale ma non convince appieno le autorità.
Shocked by the horrendous murder of Victoria Marinova. Again a courageous journalist falls in the fight for truth and against corruption. Those responsible should be brought to justice immediately by the Bulgarian authorities.
— Frans Timmermans (@TimmermansEU) October 7, 2018
“Siamo molto preoccupati”, prosegue Tom Gibson di Cpj, “il clima di autocensura creatosi nel paese è in parte dovuto a un sistema di proprietà di emittenti e giornali molto opaco, e tanti giornalisti che si occupano di temi caldi tendono ad auto censurarsi oppure ricevono minacce regolarmente incorrendo in gravi rischi, comprese le aggressioni”.
Nella mattina di mercoledì 10 ottobre, il procuratore generale ha annunciato l’arresto in Germania del cittadino bulgaro Severin Krasimirov in connessione con l’omicidio della Marinova, aggiungendo che ci sarebbero “prove fisiche” che lo legano alla vittima. Fonti vicine alla giornalista sospettano che lo stupro non sia altro che un modo per indebolire l’ipotesi di un omicidio commissionato e di indirizzare le indagini verso motivi di natura sessuale. “Qualsiasi fosse la ragione dietro all’omicidio, Victoria era una giornalista coraggiosa, una delle poche a voler parlare al pubblico di un tema particolarmente scottante”, ha commentato il collega Atanas Tchobanov, uno degli autori dell’inchiesta Gpgate.
Quello della Marinova è il sesto omicidio di un giornalista avvenuto in un paese membro della UE negli ultimi due anni.
Jan Kuciak
Il 27enne giornalista slovacco è stato ucciso insieme alla compagna il 22 febbraio scorso nella loro abitazione a Velka Maca, a circa 50 chilometri da Bratislava. Lavorava per il giornale online Aktuality.sk. Insieme al Czech Center for Investigative Journalism e al centro di giornalismo di inchiesta Irpi, stava lavorando sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Slovacchia.
Daphne Caruana Galizia
Era considerata la più importante giornalista di inchiesta a Malta, fino al 16 ottobre 2017 quando una bomba ha polverizzato l’auto che stava guidando. Al centro del lavoro di Daphne vi era la corruzione preponderante nel piccolo paese del Mediterraneo, l’utilizzo ai limiti del lecito di Malta quale paese offshore e i traffici di petrolio dal nord Africa.
Dmitry Popkov
Il 24 maggio 2017 è stato ritrovato nel suo giardino di casa con cinque proiettili in corpo. Era capo-redattore del giornale indipendente Ton-M in Siberia. In un editoriale del 2016, scriveva: “Siamo abituati ad essere una spina nel fianco di molti funzionari, i quali provano in ogni modo di metterci a tacere con minacce telefoniche, perquisizioni nei nostri uffici e interrogatori”. Un collega storico di Popkov ha dichiarato in un’intervista che secondo lui fu ammazzato a causa del suo lavoro, in particolare per aver dato spazio a un caso di corruzione nell’amministrazione locale.
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Nikolay Andrushchenko
È spirato il 19 aprile 2017, sei settimane dopo un’aggressione subita a San Pietroburgo. Andrushchenko era un acceso critico di Putin e particolarmente noto per i suoi lavori sulla corruzione e sulle violazioni dei diritti umani in Russia. Secondo la collega Alevtina Ageyeva “non ci sono dubbi che Andrushchenko sia stato ammazzato a causa del suo lavoro, era una presenza irritante per le autorità”. Aveva già subito due aggressioni, nel 2007 e nel 2016.
Kim Wall
La giornalista svedese si recò dall’inventore Peter Madsen per un’intervista il 10 agosto 2017 a Køge, in Danimarca. Oggetto dell’incontro era il sottomarino costruito da Madsen. Wall fu uccisa all’interno dell’imbarcazione, il suo corpo smembrato e poi gettato in mare. I resti furono ritrovati soltanto due mesi l’accaduto. Nell’aprile 2018, Madsen è stato condannato all’ergastolo.