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Quali sono le cause più frequenti di ricovero negli ospedali?

Gli italiani si ricoverano sempre meno, ma si può fare di più, soprattutto sotto il profilo della prevenzione. Già, perché come mostra il Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliera, il numero totale di dimissioni è diminuito del 2.62%, passando dai 9.305.006 del 2015 ai 9.061.064 del 2016. Tradotto: mediamente si verificano circa 670 ricoveri in meno ogni giorno. Un dato, questo, che però potrebbe scendere ancora.

A questo proposito può essere utile concentrarsi esclusivamente sui ricoveri potenzialmente evitabili. In questo senso, Agenas nel PNE2017 ha considerato 29 indicatori di ospedalizzazione riguardanti le patologie o le procedure per cui un elevato volume di ricoveri potrebbe in realtà celare lacune sotto il profilo preventivo. Una sorta di campanello d’allarme e un incentivo a fare meglio.

 

Come mostra il grafico, la maglia nera sotto il profilo preventivo riguarda lo scompenso cardiaco, che rappresenta la causa più frequente di ricovero in ben 102 province su 110. Nelle zone di Lucca, Massa Carrara, Vibo Valentia e Brindisi compare invece un tasso preoccupante di ospedalizzazione legata alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), un’infiammazione cronica delle vie aeree e del tessuto polmonare che, in maniera lenta e progressiva, provoca l’ostruzione dei bronchi e la conseguente limitazione del flusso aereo. Il Biellese e il Fermano sono poi caratterizzati dai ricoveri dei pazienti anziani per frattura del collo del femore, mentre la provincia di Sassari dagli interventi di artroscopia del ginocchio.

Se un alto tasso per lo scompenso cardiaco può essere correlato all’aumento della popolazione anziana, così come a uno stile di vita non salutare, più curioso è il caso della broncopneumopatia cronica ostruttiva.

 

La BPCO rappresenta la quarta causa di morte in Europa. Le cause della malattia sono da rintracciare nella lunga esposizione a sostanze irritanti che danneggiano i bronchi: tra queste, il fattore di rischio più importante è costituito da fumo di tabacco. A scatenare i sintomi contribuiscono però anche fumo passivo, polveri ambientali, agenti chimici (vapori, irritanti e fumi), e inquinamento domestico causato da combustibile utilizzato ad esempio per cucinare o riscaldare in ambienti mal ventilati.

Dal tasso di ospedalizzazione per la BPCO si nota come due aree prevalgano sulle altre: il Sud, soprattutto la Puglia, e il Centro-Nord, in concomitanza con le zone industriali a cavallo tra Lombardia, alta Toscana e Liguria.

Particolarmente critica la situazione a Brindisi e Taranto, così come a Lecce, con un numero di ricoveri dai 10 ai 17 punti sopra la media nazionale (circa 15 ricoveri ogni 10mila abitanti). Zone che potrebbero pagare lo scotto di ospitare sul territorio alcuni poli industriali, come l’Ilva di Taranto e la centrale ENEL Federico II di Brindisi. Con quest’ultima finita per ben due volte negli ultimi due anni nel mirino di WWF e Agenzia europea dell’ambiente per le emissioni inquinanti.

A concorrere sono poi i livelli delle polveri fini e dell’ozono. Come mostrano i dati dell’ARPA, nel 2016 sono stati registrati livelli oltre la soglia per l’ozono, così come – sebbene in maniera più contenuta – di PM10.

Capitolo a parte per Lecce, che nonostante una minore presenza industriale, registra un tasso di ricoveri di 14 punti superiore alla media. Per cercare di spiegare le ragioni del “Paradosso di Lecce”, qualche anno fa gli studiosi dell’Istituto Isac del Cnr dell’Università del Salento hanno dimostrato come parte degli inquinanti emessi dall’acciaieria di Taranto arrivino a Lecce trasportati dalle correnti ventose.

Quello che avete letto è uno degli articoli nati dalla collaborazione tra gli studenti di Data Science  dell’Università di Milano-Bicocca e noi di Info Data con l’obiettivo di formare gli studenti di data science sull’applicazione dell’analisi dei dati al giornalismo

Gli autori hanno frequentato il corso di Data Science dell’università Bicocca .