“Ci sarà un terremoto politico a livello europeo e tutte le regole cambieranno. In tutti i paesi europei, lo vediamo dai sondaggi, sta per accadere quello che è accaduto qui il 4 marzo. Si vedrà con le elezioni europee e questo ci aiuterà“. Così Luigi Di Maio, pochi giorni fa, in uno dei momenti più difficili per il governo – per la prima volta alla prova pratica delle innumerevoli promesse elettorali del Movimento che della Lega.
Certamente, ci dicono le ultime rilevazioni, nel nostro paese i due partiti godono ancora di un ampio consenso presso gli elettori. Pensare che le cose vadano allo stesso modo nel resto d’Europa sarebbe però un grave errore. Il successo raggiunto dalle forze populiste e nazionaliste italiane, che secondo analisi recenti porterebbe Lega e 5 Stelle insieme a ottenere oggi circa il 60% dei voti, non ha in effetti pari in nessun altro paese del continente.
Quanto è possibile, allora, che una coalizione di questo tipo si formi anche nel prossimo parlamento europeo? Per capire quali sono i possibili scenari, in vista delle elezioni del maggio prossimo, possiamo ricorrere al modello realizzato dal sito pollofpolls.eu. I suoi autori hanno aggregato sondaggi nazionali per stimare quanti seggi verranno occupati dai diversi partiti, trovando che le due famiglie politiche cui appartengono Lega e Movimento 5 Stelle insieme non arriverebbero neppure a un terzo dei seggi necessari a formare una maggioranza.
Questa, va ricordato, è la situazione ancora ad alcuni mesi di distanza dal voto. Naturalmente è sempre possibile che nel frattempo le cose cambino, ma a meno di eventi eccezionali è molto improbabile che lo facciano in maniera radicale. Negli ultimi mesi, d’altra parte, i numeri sono apparsi nel complesso relativamente stabili né ci sono stati grandi scossoni.
A oggi la famiglia politica più consistente nel parlamento europeo sarebbe quello di centro-destra del partito popolare europeo, seguito dal centro-sinistra del partito socialista europeo. Terzi verrebbero i liberaldemocratici del gruppo ALDE, con al seguito i nazionalisti. Il gruppo populista ed euroscettico di cui fa parte il Movimento 5 Stelle, per parte sua, sarebbe la sesta forza per numero complessivo di seggi.
Il partito di Emmanuel Macron, dato oggi a oltre il 30% in Francia, non fa ancora parte di alcun gruppo parlamentare in Europa. Il suo orientamento politico è, s’intende, uno dei più favorevoli all’unione europea, e a prescindere dalla sua collocazione futura si può escludere che parteciperà a qualsivoglia coalizione euro-scettica.
Ragionando per un momento sui singoli partiti nazionali che daranno forza ai vari gruppi nel futuro parlamento europeo, troviamo che la spinta alle famiglie politiche populiste e nazionaliste arriva proprio dall’Italia. È, presumibilmente, proprio il nostro paese che manderà al parlamento europeo il contingente più ampio di persone con questo orientamento politico.
In nessun’altra grande nazione partiti con queste idee raggiungono un livello di consenso simile.
Grazie alle stime di pollofpolls.eu possiamo provare anche a ricostruire i singoli contingenti di politici che rappresenteranno ciascuna nazione in Europa. L’Italia avrebbe in particolare 28 leghisti e 26 pentastellati, numeri simili per esempio a quelli espressi dal partito di Angela Merkel in Germania, e un po’ più elevati rispetto al gruppo di “macroniani” in arrivo dalla Francia.
Sempre dalla Germania vanno notati i 16 seggi che andrebbero ad Alternative für Deutschland, partito di estrema destra che otterrebbe un risultato vicinissimo a quello del tradizionale partito socialista tedesco – in enorme difficoltà.
La Spagna resta d’altronde l’unica nazione dove la sfiducia verso i partiti tradizionali si esprime in maniera meno estrema: non molti forse si aspetterebbero di trovarla come base del più ampio gruppi di liberali in Europa, ma allo stato attuale così è.
Quella di Di Maio pare dunque un’eventualità remotissima Ma se anche per ipotesi di scuola dovesse verificarsi, non esiste ragione di credere che un parlamento europeo “populista” sarebbe di aiuto ai programmi del governo. Negli ultimi anni, in accordo con le istituzioni comunitarie, l’Italia si è già discostata dagli obbiettivi di aggiustamento dei conti pubblici previsti.
Ci sono invece ottime ragioni per pensare che politici europei meno moderati andrebbero nella direzione opposta, chiedendo piuttosto maggior rigore ai conti italiani: un esempio evidente è il primo ministro austriaco Kurz, secondo cui debiti eccessivi sono pericolosi ed è negativo che siano state fatte eccezioni per i paesi più grandi. “L’Italia si mette in pericolo, ha dichiarato di recente, ma ovviamente mette a rischio anche gli altri. […] In Austria non pagheremo di sicuro per i debiti degli altri”.
La contraddizione in termini, nel cercare di tenere insieme populisti e nazionalisti europei, non potrebbe essere più evidente.