I contratti a termine sono raddoppiati, i giovani inattivi cresciuti di dieci punti percentuali. C’è di buono, almeno, che il tasso di occupazione femminile è salito di 5 punti. Lo scorso 31 ottobre Istat ha pubblicato l’aggiornamento dei dati mensili sull’andamento del mercato del lavoro. E no, i dati citati non fanno riferimento all’andamento tendenziale. Non sono, cioè, colpa o merito del governo Conte.
Infodata ha infatti deciso di ricostruire la serie storica a partire dal 2004, così da scattare una fotografia più ampia di come sia cambiato il mercato del lavoro italiano nell’ultimo quindicennio. Il primo dato riguarda il tasso di occupazione, ovvero la percentuale di persone tra i 15 ed i 64 anni che ha un lavoro. Non importa, in questo momento, se dipendente o meno, se a tempo indeterminato o meno. I dati resi disponibili da Istat dicono questo:
Nel grafico si può osservare la crescita interrotta nel 2008 dallo scoppio della crisi, con un primo salto verso il basso, seguito da un secondo tra il 2012 ed il 2013. Dall’anno successivo è iniziato un percorso di risalita, che ha sostanzialmente riportato il tasso di occupazione ai livelli pre crisi, quando poco meno del 59% degli italiani tra i 15 ed i 64 anni aveva un lavoro.
Interessante, in questo contesto, osservare le dinamiche di genere. Prima della crisi, infatti, il tasso di occupazione maschile superava il 70%. Nel punto più basso, tra la primavera del 2013 e l’inizio del 2015, è sceso intorno al 65%. E la risalita degli ultimi anni lo ha portato poco sotto il 68%, ancora due punti in meno rispetto ai livelli pre crisi. L’occupazione femminile, invece, sta vivendo un significativo incremento. Intanto, ha subito meno la crisi: negli anni in cui gli uomini perdevano 5 punti percentuali, il tasso di occupazione delle donne oscillava tra il 46 ed il 47%. Non solo: dalla fine del 2014 ha iniziato a crescere, arrivando a sfiorare il 50%. Beninteso, siamo ancora 15 punti sotto all’occupazione maschile, ma l’incremento è certamente significativo.
Meno positiva, invece, la situazione per quanto riguarda i giovani tra i 15 ed i 24 anni. Questo è quello che dicono i numeri di Istat:
Prima dei numeri, una precisazione. Le diverse percentuali di occupati, disoccupati e inattivi sono qui calcolate sulla base della popolazione totale tra i 15 ed i 24 anni, poco meno di 6 milioni di persone. Tra gli inattivi, detto altrimenti, rientra anche chi è tale per il semplice fatto che non ha alcun interesse ad entrare nel mercato del lavoro. Ad esempio perché è impegnato a conseguire un diploma o una laurea. Detto questo, salta all’occhio che sia questa la fetta ad aver conosciuto l’incremento maggiore negli ultimi quindici anni.
Gli inattivi erano il 63,57% dei giovani tra i 15 ed i 24 anni nel mese di gennaio del 2004, sono saliti al 74,65% nel settembre del 2018. Sostanzialmente costanti i disoccupati, passati dall’8,41 all’8% (anche qui: il raffronto è sul totale della popolazione. Normalmente Istat diffonde questo dato rapportandolo alla sola quota degli attivi, ovvero di occupati e disoccupati. Per questo le percentuali che normalmente finiscono nei titoli dei giornali sono più alte), mentre sono calati gli occupati, scesi dal 28,2 al 17,35%.
La crisi ha insomma spostato un giovane su dieci dal mercato del lavoro all’inattività. Si tratta di ragazzi e ragazze che scelgono di proseguire gli studi o che invece rinunciano a cercare un lavoro e diventano Neet, ovvero persone che non studiano, non lavorano, non si formano. Un fenomeno che negli ultimi anni ha conosciuto una forte crescita in Italia Eurostat nel 2017 erano il 29,5% dei giovani tra i 20 e i 34 anni). Proseguendo nell’analisi, Istat permette di capire come siano cambiate le tipologie di contratti che regolano la presenza degli italiani sul posto di lavoro:
Da segnalare, innanzitutto, un leggero incremento dei lavoratori con contratti permanenti. Si tratta di dipendenti sul cui contratto non è indicata una data di scadenza. Nel gennaio del 2004 erano 14,2 milioni, a fine settembre erano 14,8. Non manca molto, dunque, per superare quota 15 milioni, il picco toccato nella primavera del 2008 prima dello scoppio della crisi. C’è, al contrario, una contrazione dei lavoratori indipendenti, passati da 6,2 a 5,3 milioni.
Il dato che però più salta all’occhio fa riferimento ai lavoratori con un contratto a termine. I precari, per dirla altrimenti. Nel 2004 erano 1,8 milioni, l’ultima rilevazione ne ha contati 3,2. Sono insomma quasi raddoppiati. Se quindi è vero che rispetto al gennaio del 2014 ci sono 1 milione di occupati in più, è altrettanto vero che si tratta di persone assunte con un contratto precario. Che questo sia un bene o un male, i numeri di Istat non lo dicono. E anche Infodata preferisce lasciare il giudizio ai lettori.