Detto come si dice in Europa, le piccole e medie imprese sono la spina dorsale dell’economia. Parliamo come sempre di aziende non quotate sui mercato finanziari e con meno di 250 addetti. Ebbene, nel 2015 la stragrande maggioranza (92,8%) di queste imprese dell’Unione europea era costituita da società con meno di 10 addetti (microimprese). Solo lo 0,2% di tutte le imprese aveva 250 o più dipendenti e quindi erano classificati come grandi imprese.
Come emerge da questo grafico interattivo realizzato da Eurostat l’Italia del capitalismo familiare, del nanismo imprenditoriale, dei piccoli che non vogliono crescere non è molto distante dal tessuto aziendali degli altri Paesi. Certo, siamo in testa in termini di presenza percentuale di micro-imprese, ma questo lo sapevamo. Come conosciamo bene anche le similarità con la morfologia imprenditoriale spagnola.
Quello che emerge con più chiarezza da questa tabella è la concentrazione di grandi aziende su territorio anglosassone. Un dato che potrebbe cambiare con la Brexit a vantaggio degli altri Paesi dell’Unione. Tornando ai numeri, nel 2015 c’erano 23,4 milioni di Pmi in Europa. Tutte insieme danno lavoro a 91 milioni di persone e generano 3.934 miliardi di euro di valore aggiunto. Il contributo economico delle Pmi è stato particolarmente evidente a Malta, a Cipro e in Estonia. In questi tre Paesi i tre quarti del
valore aggiunto totale si deve al loro giro d’affari.
E negli Stati Uniti? Come si legge in una
analisi su Le Formiche, secondo un’interessante ricostruzione compiuta da AFME-Finance for Europe e da Boston Consulting negli Usa le piccole e medie imprese sono 28 milioni, sei milioni più che in Europa, ed esprimono il 49 per cento dell’occupazione e il 46 per cento del valore aggiunto.