Ormai diversi mesi dopo che il nuovo Governo è entrato in carica, è arrivato il momento di fare un controllo a uno degli elementi più importanti dell’economia italiana – il mercato del lavoro. Il singolo indicatore più importante da tenere sott’occhio è il tasso di occupazione, che misura quanti sul totale dei 15-64enni hanno un impiego. La leggera ripresa economica degli ultimi anni aveva riportato questo indicatore, precipitato dopo la recessione, a valori praticamente identici a quelli pre-crisi. Anche così, comunque, l’Italia restava # terzultima fra i paesi Ocse per numero totali di persone che lavorano.
Come mostrano gli ultimi dati Istat, che arrivano fino a ottobre, la ripresa del lavoro ha un’ultima spinta in primavera e poi da lì si arresta. Da maggio in avanti, fino al periodo più recente, il tasso di occupazione resta praticamente fermo. Questo vale sia per gli uomini che per le donne, due gruppi che pure a ritmi leggermente diversi hanno comunque visto aumentare fra i propri ranghi le persone in grado di trovare lavoro.
Lo stop non può essere imputato per intero all’azione del Governo, perché in un’economia moderna i fattori che incidono sono tanti come tra l’altro la congiuntura internazionale. Certamente però l’incertezza in cui ci troviamo non aiuta gli imprenditori a prendere decisioni, e dallo spread, alla manovra, ai rapporti con l’Europa, di punti interrogativi a pesare sulla testa delle imprese ce ne sono senza dubbio molti più che in passato.
Se fra generi non emergono particolari differenze, guardando invece all’età si intuisce subito da dove arriva buona parte della crescita degli occupati. È senz’altro vero che la situazione appare migliorata un po’ per tutti, almeno fino allo stop recente, ma in effetti il guadag22no maggiore si trova fra coloro che sono vicini alla pensione, e lo si deve in particolare alla riforma che ha aumentato l’età in cui si può andare in pensione.
Nonostante questo, ancora oggi secondo l’Ocse l’Italia resta una delle nazioni in cui l’età effettiva di pensionamento appare fra le più basse.
Tornando a guardare per un attimo a giovani e meno giovani, possiamo farci un’idea di che proporzioni hanno le principali categorie entro cui gli statistici fanno rientrare le persone, così da stabilire meglio cosa fanno. Parliamo in particolare di occupati, che ovviamente comprendono chi ha trovato un impiego; di inattivi, ovvero chi né ha un lavoro né lo cerca, e infine chi invece è a caccia di un impiego. Fra i più giovani, ovvero chi ha meno di 24 anni, i secondi costituiscono il gruppo di maggiore ampiezza, con circa un milione di occupati e la metà di quel numero che invece vorrebbe lavorare ma ancora non ci è riuscito. Non si tratta di un dato così strano perché molti di loro sono ancora studenti, per esempio, ma questo vale fino a un certo punto: i giovani italiani restano comunque fra coloro che in Europa lavorano meno di frequente.
Per i 25-34enni gli ultimi due anni sono stati grosso modo stabili. Gli occupati sono rimasti leggermente sopra i 4 milioni, ma al contempo sono calati sia inattivi che le persone in cerca di lavoro.
Fra i pochi gruppi di età dove il numero di occupati cala, troviamo piuttosto le persone di età compresa fra 35 e 49 anni. Si tratta tra l’altro di un ampio insieme di lavoratori e lavoratrici, che due anni fa contava circa 10 milioni di italiani ma ultimamente è sceso nettamente al di sotto di questa soglia.
Dove troviamo un effetto assai evidente di leggi che hanno influenzato il mercato del lavoro è fra i 50-64enni. Qui però non si tratta di norme che regolano i contratti in sé, quanto piuttosto della riforma delle pensioni che ha aumentato i requisiti per concludere la propria carriera. Troviamo allora quasi un milione di persone occupate in più, solo negli ultimi due anni, e senza particolari segni di flessione recente come invece è avvenuto per le altre classi di età. Considerato il tipo di lavoratori di cui parliamo, non si tratta di un’enorme sorpresa.