Secondo quanto riportato in un censimento di Istat pubblicato con dati realitivi al 2016 , nel Meridione il no profit è un settore oggi molto meno presente rispetto al nord, sia come numero di enti fra associazioni, cooperative sociali e fondazioni, che di dipendenti. Si contano poco più di 91 mila istituzioni fra sud e isole per un totale di 164 mila dipendenti, contro i 175 mila enti al nord, che danno lavoro a 465 mila dipendenti. Se consideriamo il numero di istituzioni non profit ogni 10 mila abitanti vediamo che al centro-nord tale tale rapporto assume valori prossimi se non superiori a 60 (a Nord-est si tocca addirittura quota 68,2 per 10 mila abitanti), mentre nelle isole e al sud è pari rispettivamente a 48,1 e 42,2 per 10 mila persone. I valori più bassi si riscontrano in Campania e in Calabria con rispettivamente 55 e 56 dipendenti che lavorano nel no profit per 10 mila abitanti, mentre a Trento se ne contano 238, in Alto Adige 199 e in Lombardia 180.
Nelle regioni meridionali tuttavia in proporzione si contano più cooperative sociali rispetto al nord, dove invece prevalgono le associazioni e le fondazioni. Inoltre, sempre al sud si nota una netta predominanza di no profit dedicate allo sviluppo economico alla coesione sociale e all’assistenza sindacale, mentre è notevole il divario circa la presenza di associazioni culturali ricreative e filantropiche, come anche di enti che operano nell’ambito della cooperazione internazionale.
La buona notizia è che i dati Istat, relativi al 2016, mostrano un trend positivo sul 2015 che coinvolge tutta la penisola: è cresciuto sia il numero di istituzioni (+2,1%) che di dipendenti (+3,1%). Ma soprattutto è aumentata l’incidenza delle istituzioni non profit sul numero imprese dell’industria e dei servizi. Nel 2001 le imprese no profit erano l’5,8% del totale e gli addetti assunti rappresentavano il 4,8% dei lavoratori nazionali; oggi le istituzioni no profit sono il 7,8% e i suoi dipendenti sono il 6,9% del totale degli occupati.
Anche il sud vive questa crescita, sia come numero di enti (+3,1% nelle regioni meridionali continentali e +2,4% nelle isole) che di dipendenti (+5,8%). Considerando il numero di istituzioni, gli incrementi percentuali maggiori si osservano in Basilicata (+8,8%), Molise (+8,7%) e Calabria (+5,6%). Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, le regioni maggiormente interessate dalla crescita degli occupati sono Basilicata (+9,5%), Campania (+7,9%) ed Emilia-Romagna (+5,0%).
Ciò non significa che il no profit oggi al Sud è in grado di bilanciare l’elevata disoccupazione. Rispetto al resto d’Italia nel Meridione sono di meno per esempio le percentuali di contratti full time sul totale: 60 mila contro gli oltre 230 mila nelle regioni del nord. La proporzione fra contratti a tempo determinato e indeterminato è invece la medesima a nord e a sud: 8 dipendenti su 10 sono assunti a tempo indeterminato.
Al Sud sono maggiori in proporzione i beneficiari di sgravi contributivi: il 6,3% contro il 4,3% delle regioni di nord ovest e del centro, e il 5,2% del Nord Est. In particolare la fascia di disoccupati e beneficiari di ammortizzatori sociali è enormemente maggiore al cud rispetto al resto d’Italia, rappresentando in queste zone la metà degli idonei a ottenere sgravi fiscali: 4700 dipendenti titolari di sgravi fiscali contributivi contro i 500 complessivi di tutto il nord e gli altrettanti delle regioni del centro, che però contano nell’insieme anche meno abitanti.
Vale la pena osservare che quello del no profit è anche un settore che coinvolge tutto sommato persone con un buon titolo di studio: un terzo dei dipendenti è laureato e un altro terzo possiede un diploma di scuola superiore. Soprattutto considerato che il 70% degli assunti ha meno di 50 anni e il 12% meno di 30 anni, in uguale proporzione a nord e a sud.
Infine, un’ultima buona notizia è che in questo ambito, a differenza delle statistiche occupazionali delle imprese italiane, la maggior parte delle assunzioni riguarda donne: il 70% contro il 40% del mondo delle imprese. In numero assoluto parliamo di 585 mila contratti su 812 mila, cioè il doppio rispetto agli uomini.
Solo nel settore dello sviluppo economico le assunzioni maschili superano quelle femminili, che invece si mantengono nettamente superiori nei comparti dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione.