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politica

L’emergenza migranti e quattro luoghi comuni da sfatare

Gli sbarchi di questa estate con il loro corollario tragico hanno portato domande e pulsioni che il nostro Paese non aveva mai conosciuto nella sua storia. Per provare a mettere nero su bianco i pochissimi numeri che abbiamo a disposizione (i clandestini non sono censiti in quanto clandestini ndr) abbiamo scelto quattro Info Data e quattro grafici per sfatare alcuni luoghi comuni legati più alla propaganda politica che alla realtà fattuale. Il primo?

Siamo davvero oggetto di una invasione di migranti dai Paesi dell’Africa e de Medio Oriente?  Per dare le dimensioni di chi arriva nel nostro paese sia nel tempo che rispetto alle altre nazioni del continente possiamo per esempio partire dai dati dell’Ocse, e più esattamente dell’International Migration Outlook 2018 

Per quanto riguarda l’Italia, negli anni troviamo che il numero di persone cui è stato fornito un permesso di soggiorno è drasticamente calato, e in effetti risulta solo leggermente in aumento dal 2014 al 2016 poco sopra quota 250mila. Per fare un confronto, però, nel 2000 lo stesso indicatore si era fermato appena sotto il mezzo milione di persone: oggi è dunque la metà di allora.

Questo numero contiene tuttavia due tendenze opposte. Da un lato registriamo un notevole calo di coloro che vengono in Italia per ragioni di lavoro, dall’altro invece proprio dal 2014 crescono i permessi di soggiorno concessi ai richiedenti asilo. Il calo si è verificato per tutti i generi di impiego: sia permanenti che stagionali. Per parte loro, i permessi concessi per ragioni di protezione internazionale erano rimasti a lungo sotto le 50mila unità l’anno, per poi arrivare a un massimo poco sopra le 120mila nel 2016.

La somma di queste due tendenze opposte è, nel complesso, di un deciso calo nel numero totale di ingressi.

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I richiedenti asilo vogliono venire tutti in Italia. Come scrive Davide Mancino, che gruppi di richiedenti asilo vengano trasferiti da un paese all’altro, e in particolare verso le nazioni di “primo arrivo”, non è esattamente una novità. Si tratta in effetti di una procedura prevista dal trattato di Dubino, entrato in vigore nel 1997, e alla base di spostamenti di richiedenti asilo che vanno avanti ormai da tempo. Il principio base consiste nell’evitare, per quanto possibile, che i rifugiati facciano domanda in più paesi alla volta, e che a occuparsi delle loro richieste di asilo siano le nazioni in cui essi sono arrivati per la prima volta. Diventa quindi possibile, sotto determinate condizioni, trasferirne alcuni verso tali nazioni. Naturalmente si tratta di un accordo politico, e come tale né scritto nella pietra né per forza la soluzione migliore possibile: finché esso resta in vigore, però, va rispettato. Se – legittimamente – non piace, esistono appositi strumenti politici e democratici per modificarlo, ma certo non si può far finta che non esista.

Usando i dati Eurostat, reperiti grazie al ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale Matteo Villa, possiamo per esempio ricostruire facilmente di cosa si tratta, e che dimensioni ha la questione.

Gli ultimi numeri disponibili fanno riferimento al 2017, e puntano alla Germania come paese verso cui avviene il maggior numero di trasferimenti. Segue a una certa distanza l’Italia, e poi tutti gli altri molto più indietro.

Che fine fanno i migranti una volta arrivat in Italia? Quarantadue insediamenti informali in Italia che “accolgono” complessivamente dalle 6.000 alle 10.000 persone in 24 insediamenti costituiti da edifici, 2 da baracche e 2 da casolari, 3 da tendopoli, 2 fra container e roulotte e 9 campi dove le persone dormono all’addiaccio. Nella metà dei casi senza acqua corrente e senza elettricità e in un terzo dei casi con donne e bambini. A Foggia e a Catania sono presenti insediamenti dove vivono bambini e non ci sono né elettricità né acqua corrente.

È questa la situazione al 1 settembre 2018 (ma si tratta di numeri da prendere non al dettaglio data l’estrema fluidità di queste dinamiche) fotografata dall’ultimo rapporto “Fuoricampo” di Medici Senza Frontiere e raccontata da Cristina Da Rold

Si fugge dalla guerra: ecco la mappa dei conflitti nel mondo

Chi arriva in Italia non fugge dalla guerra. E’ un migrante economico, cerca solo una vita migliore. In questo la risposta è interlocutoria. Se guardiamo ai flussi è vero che non fuggono tutti dalle guerre. Ma è altrettanto vero che le guerre nel mondi ci sono.

Tra il 2017 e il 2018, ricorda Filippo Mastroianni, circa 193.000 persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente, a causa di conflitti a fuoco di diversa natura. Questo il quadro raccontatoci dai dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project.

ACLED è un progetto di raccolta, analisi e mappatura delle crisi armate. Raccoglie date, attori, tipologia delle violenze, luoghi e vittime segnalate in Africa, Asia meridionale, Sud-est asiatico e Medio Oriente. Nella grafica le informazioni mappate mostrano il quadro generale. Con l’ausilio delle icone relative alle tre aree principali (Africa, Asia, Medio Oriente) è possibile aggiornare la mappa e i numeri per scoprire quali sono le regioni più pericolose del mondo.

 

Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen e alcune regioni dell’Africa registrano un alto numero di vittime negli ultimi due anni. In particolare, le prime due sono praticamente appaiate con numeri decisamente superiori alle altre nazioni prese in esame. Entrambe contano oltre 71.000 decessi dovuti a conflitti armati, superando di diverse unità Iraq (36.891) e Yemen (33.353).