Secondo la più recente determina di AIFA in materia di ictus, per massimizzare l’efficacia della terapia è necessario che l’intervento di trombolisi venga eseguito al massimo entro 4 ore e mezza dai primi sintomi, e nel caso dei pazienti ultra ottantenni entro le 3 ore. Eppure stando a quanto emerge dai dati delle Schede di Dimissione Ospedialiera del Ministero della Salute, su 100 mila persone con ictus ricoverate nel 2017 ne sarebbero state eseguite solo 10.500: il 73% di quelle che avrebbero dovuto essere effettuate in base alle stime. Solo il 60% circa dei primi ictus arriva in ospedale entro le 4,5 ore dall’esordio dei primi sintomi, e solo uno su quattro di essi sarebbe candidabile per ricevere la trombolisi. Ne consegue che sarebbero circa 14 mila i possibili candidati ogni anno, considerati anche i pazienti recidivi. La cattiva notizia è quindi che il numero è ancora insufficiente, quella buona che si registra un incremento del 60% rispetto al 2013 e del 20% solo rispetto all’anno precedente.
L’intervento di trombolisi sistemica è il meno invasivo per il paziente, perché consiste nella somministrazione per via endovenosa di farmaci in grado di eliminare un trombo formatosi all’interno del distretto arterioso dei vasi per permettere la ricanalizzazione del vaso interessato. Si distingue dalla trombolisi locale, dove ol farmaco viene posto in contatto del trombo tramite un un catetere.
Le differenze regionali sono molto evidenti. In Liguria, Friuli Venezia Giulia, Alto Adige, Veneto, Abruzzo, Valle d’Aosta e Marche il numero dei trattamenti ha superato il 100% della stima per quella regione. In metà delle regioni italiane però non si raggiunge l’80%, e in Puglia, Sicilia, Basilicata, Campania e Molise siamo sotto il 50% dei ricoveri. In Campania addirittura viene trattato un paziente con ictus su 10. Che sia perché si arriva dopo all’ospedale, per la mancanza di centri (5 in tutta la regione) o perché è minore la percentuale di malati candidabili, sono numeri che fanno riflettere.
La questione della vicinanza al centro non è secondaria per leggere questi risultati: secondo gli autori del rapporto, la centralizzazione dei tre centri attivi del Friuli Venezia Giulia per esempio è verosimilmente all’origine di questo risultato. Dal versante opposto, il risultato della Calabria è molto positivo: avendo solo il 50% dei centri necessari e con problemi organizzativi, è stato trattato il 58% dei pazienti trattabili. Si stima che la proporzione minima per garantire una buona copertura sia di 1 centro ogni 200.000 abitanti.
Roma rimane un problema, a causa de abbassando i risultati dell’intera regione Lazio. “La telemedicina – si legge – potrebbe consentire di porre rimedio a queste difficoltà”. Esperienza di questo tipo sono per il momento state avviate fra il Policlinico Umberto I e gli Ospedali dell’ASL RM3 situati a sud-est della città.
Una regione che può essere presa come riferimento, quando a rapporto fra popolazione e centri, per il sistema paese è il Veneto. Nel 2017 i centri attivati per la trombolisi in Veneto corrispondono all’89.4% del necessario e hanno trattato il 130.2% dei pazienti eleggibili. Secondo gli autori questi risultati sono possibili perché il Veneto ha messo in piedi un’organizzazione in rete dei 6 Hub localizzati a Mestre, Padova, Treviso, Verona, Vicenza e Rovigo (compresa una connessione in telemedicina fra l’Hub di Treviso e l’Ospedale di Conegliano) e un sistema di trasporti rapidi attraverso il coinvolgimento del 118.
Discrepanze ancora maggiori fra le regioni si riscontrano infine nella possibilità di essere trattati con endoarteriosi. Si stima che il 40% dei pazienti sottoposti a trombolisi intravenosa siano candidati a questo tipo di intervento, così come il 10% di pazienti che non erano non trattabili con trombolisi. Eppure, vengono effettuati solo 37 trattamenti sui 100 che sarebbero possibili. Non tutti i centri sono in grado di effettuare questi interventi complessi, che richiedono una presenza di specialisti h24.