Se vogliamo capire qual è lo stato della medicina d’urgenza in Italia e come vanno le cose per i pazienti che devono farne uso, come in tutte le cose complicate non c’è un solo indicatore o un solo numero cui guardare.
Questo però non vuol dire che non si può dire niente o che non sappiamo nulla. Se per esempio partiamo dalle statistiche compilate da AGENAS – agenzia pubblica che supporta il sistema nazionale sanitario attraverso analisi e valutazioni – per il Programma Nazionale Esiti, e relative al 2016, troviamo tante statistiche utile per farci un’idea sia della situazione generale in Italia che, in dettaglio, dei singoli ospedali sparsi sul territorio.
In questo senso, una delle misure più importanti da tenere sott’occhio riguarda il tempo di permanenza dei pazienti nei reparti di pronto soccorso. Quanto tempo hanno passato le persone in reparto, per essere curate?
A livello complessivo troviamo che il 2,5% degli accessi in pronto soccorso è ricaduto nel caso peggiore, e durato oltre 24 ore in totale. Si tratta di un leggerissimo aumento rispetto all’anno precedente, quando erano stati il 2,4%.
Per accessi si intende il numero di visite complessive, che però non corrispondono per forza ai pazienti che hanno fatto ricorso alla medicina d’urgenza. Ad alcuni può essere capitato di andare in pronto soccorso più di una volta, per esempio, mentre ad altri nessuna.
Di gran lunga la maggior parte delle visite d’urgenza si è comunque protratta per meno di 12 ore, mentre un’altra piccola parte degli accessi è dovuta restare in ospedale fra 12 e 24 ore. Sempre rispetto al 2015, troviamo un calo di qualche decimo di punto nello scaglione più rapido di visite, travasato negli altri due.
Senza ulteriori – e approfondite analisi –, resta però difficile dire se si tratta di un reale peggioramento oppure soltanto di qualche inevitabile fluttuazione statistica.
Il censimento di AGENAS mostra anche che nello stesso periodo di tempo il ricorso alla medicina d’urgenza da parte degli italiani è aumentato leggermente, sia per i casi più rapidi che per quelli che hanno richiesto più tempo.
Per dare una qualche misura, in entrambi gli accessi di durata inferiore a 12 ore sono stati poco meno di 15 milioni; un filo al di sotto dei 400mila quelli che hanno costretto i pazienti a restare oltre 24 ore nel pronto soccorso.
Come succede spesso i numeri totali rendono l’idea generale di dove tira il vento, ma alla fine quello che conta davvero è il luogo in cui viviamo e dove potremmo – anche se si spera sempre di no – doverci recare un giorno.
Per fortuna le statistiche dell’agenzia sono dettagliate abbastanza da consentirci di verificare la situazione ospedale per ospedale. Soprattutto per i dati meno recenti e che fanno riferimento, però, la copertura non è totale, e quindi tutti i numeri vanno interpretati con cautela – meglio considerare le grandi tendenze generali invece che piccole differenze.
Per alcune strutture invece i dati sono più completi, ed è possibile tornare indietro anche di due anni fino al 2014. È il caso del Careggi di Firenze, il singolo pronto soccorso con il maggior numero di accessi totali in Italia, dove per esempio possiamo controllare se nel tempo sono aumentate le urgenze risolte in maniera più rapida, o al contrario quelle che hanno costretto i pazienti a restare in ospedale per parecchio tempo. Nel reparto toscano di urgenza di queste ultime ne risultano tutto sommato piuttosto poche, anche se in leggero aumento rispetto all’anno precedente.
Caso opposto è quello di tante altre strutture di Roma come il S. Andrea, S. Filippo Neri o Tor Vergata, dove da tempo troviamo un’ampia parte di pazienti che per la propria visita impiega in totale da 12 a 24 ore, e ancora maggiore è il numero di casi dove vengono superate le 24 ore. Sono, a ben vedere, risultati che non hanno confronti con altre strutture italiane – in qualunque altra regione.
I dettagli sui singoli ospedali, insieme a un’analisi delle possibili ragioni dietro prestazioni tanto diverse, sono disponibili nel primo articolo di questa inchiesta.