Nel nostro Paese si studia poco. L’Ocse, l’organizzazione dei Paesi più sviluppati del mondo, sostiene che solo il 18% degli italiani si laurea (contro una media 37% dell’intera area). Ma, ancora più allarmante, scrive l’Ansa, è il fatto che 1 ragazzo su 4 (ma al Sud si raggiungono picchi drammatici) getti la spugna prima del tempo, abbandonando la scuola o il percorso di formazione prima dei 18 anni. Quando entra nel mondo del lavoro le cose cambiano. Sempre Ocse nello studio , “OECD Employment Outlook” traccia una classifica dei Paesi in cui si lavora di più/di meno a livello globale. L’analisi prende il numero totale di ore lavorate all’anno e lo divide per il numero medio di persone occupate. Comprende ore di lavoro regolari di lavoratori a tempo pieno, part-time e part-time, straordinari retribuiti e non retribuiti e ore di lavoro aggiuntive. Ebbene, l’Italia, con 1.723 ore lavorative annue, occupa una posizione mediana del ranking. Per capirci dipendenti in Germania lavorano in media 1.356 ore all’anno – circa 900 in meno rispetto ai loro omologhi in Messico. Ciò si confronta con una media OCSE di 1.744, gli Stati Uniti a 1.780 e il Giappone a 1.710. Il paradosso che poi paradosso non è, sta dentro le conclusioni del rapporto Ocse. I paesi dove i lavoratori lavorano di più non sono i più produttivi. Anzi, se guardiano la testa della classifica ci rendiamo conto che il vero game changer è la tecnologia o la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”. Declinato sull’Italia questo discorso si presta alle più tristi delle chiose: studiamo poco, lavoriamo in proporzione di più e guadagnamo di meno. Peggio di così.