Nella mappa in alto il tasso di risparmio sul reddito disponibile misurato in % e a livello trimestrale.
Ormai da qualche anno gli italiani non vantano più il primato europeo del risparmio. Guardando alla serie Eurostat, è almeno dal 2015 che viaggiamo sotto la media dell’Eurozona, fluttuante tra l’11 e il 12% del reddito disponibile: verso la fine del 2018 eravamo al 10%, dato che verrà corretto al ribasso con la chiusura dei conti nazionali in corso con Istat.
Proprio nel 2015, primo anno di timida ripresa dopo la seconda recessione, hanno ricominciato invece a crescere i finanziamenti per crediti al consumo (tetto massimo 75mila euro), quelli concessi per acquistare beni o servizi ma, molto più spesso, usati per fronteggiare spese impreviste. L’anno scorso (dato a fine settembre) questi finanziamenti erano arrivati a 125 miliardi, circa un quarto del totale dei crediti alle famiglie. La componente principale è quella dei prestiti personali (poco meno di 60 miliardi), seguita dai prestiti finalizzati (35 miliardi) all’acquisto di beni durevoli, come l’automobile, e dalla cessione del quinto dello stipendio o della pensione (quasi 20 miliardi, un sesto del totale del credito al consumo).
Offriamo qui qualche numero su quest’ultimo strumento, la cessione del quinto, pressoché sconosciuto in Europa (solo in Brasile sembra utilizzato come da noi), creato negli anni Cinquanta per favorire l’accesso al credito dei dipendenti statali.
Oggi la cessione del quinto è diffusa soprattutto tra i pensionati: 49% l’anno scorso contro il 18% dei dipendenti privati. Il finanziamento può durare fino a 10 anni ma sono molto frequenti le estinzioni anticipate, fatte contestualmente al rinnovo del prestito, operazione che ne estende di fatto la durata originaria, con ulteriori oneri da pagare per l’accensione del nuovo prestito.
Chi ci guadagna da questa prassi? Ovviamente gli intermediari in termini di commissioni ad hoc. Il costo complessivo medio del prestito attualmente viaggia intorno all’8% per i prestiti sopra i 15.000 euro e poco sopra l’11% per quelli sotto i 15.000. Ma poiché una parte significativa di questi costi sono “fissi”, pagati inizialmente (up-front) dal cliente e non rimborsabili se si estingue anticipatamente, quando si sceglie di estinguere e rinnovare il prestito, di fatto ci si trova a pagare un costo molto più alto, visto che i costi del primo finanziamento non sono più “spalmati” su tutta la durata del finanziamento, ad esempio 120 mesi, ma solo su due anni, se si estingue dopo il minimo possibile; e vanno poi aggiunti gli oneri dovuti per il nuovo prestito.
Una pratica di finanziamento molto popolare e diffusa, basata su norme degli anni Cinquanta, non può non prestare il fianco a qualche problema. I rischi maggiori sono tre: sovraindebitamento per i clienti, poca chiarezza sui costi e le attività remunerate, che porta a una loro sottovalutazione; incentivi alle reti degli intermediari, che fanno pressioni sui clienti. Non a caso i ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario di Bankitalia (circa 22.000 nel 2017, oltre il 70% del totale), riguardano proprio il rimborso delle commissioni e degli oneri assicurativi non goduti in caso di estinzione anticipata di contratti di finanziamento.
A marzo la Vigilanza ha dato nuove indicazioni alle banche e alle finanziarie: serve più trasparenza e semplicità nei contratti (spiegare bene che cosa costa una chiusura anticipata e poi un rinnovo di del prestito) e bisogna evitare pressioni sui clienti.