Lo Skills Outlook Scoreboard di OCSE, rilasciato qualche giorno fa è lapidario: la popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia nella vita sociale che sul posto di lavoro. Solo il 36% degli italiani, la percentuale più bassa tra i paesi OCSE, è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Solo un italiano su cinque tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo (cioè ottengono almeno un punteggio di livello 3 nei test di alfabetizzazione e calcolo). Si tratta del terzo peggior risultato tra i paesi esaminati.
L’Italia è il paese con la più bassa percentuale di lavoratori capace di utilizzare software anti-tracking (lo sa fare l’8% degli intervistati), e di modificare le proprie informazioni personali online (sa farlo solo la metà delle persone). Un quarto degli italiani invece sa impostare i cookies nel proprio sito o blog. Gli anziani con scarse capacità cognitive e digitali sono un terzo del totale in Italia, mentre la media OCSE è del 17% e in Norvegia si arriva a quote bassissime, meno del 5%.
I lavoratori italiani utilizzano le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) sul lavoro, ma meno intensamente rispetto al resto dei paesi dell’area OCSE. Inoltre si assiste a un gradiente controproducente: i lavoratori più esposti al rischio di automazione e i lavoratori poco qualificati partecipano meno ad attività di formazione se confrontati con quelli altamente qualificati o con un basso rischio di automazione. La formazione continua viene erogata al 20% dei lavoratori ad alto rischio: peggio di noi solo la Grecia, mentre in paesi come la Finlandia si arriva all’80%, in Germania al 70%. Chi parte svantaggiato insomma, è più facile che resti tale, dal momento che chi possiede solide competenze ha maggiori probabilità di adattarsi quando la digitalizzazione trasformerà il contenuto del loro lavoro e le loro mansioni quotidiane.
Secondo gli esperti, il 13,8% dei lavoratori sarebbe impiegato in occupazioni ad alto rischio di automazione, dove cioè la loro figura professionale potrebbe venire meno, e avrebbero bisogno di una formazione moderata (fino a 1 anno) per passare a occupazioni più sicure, con basso o medio rischio di automazione. Un ulteriore 4,2% avrebbe invece bisogno di una formazione intensa (fino a 3 anni) per evitare l’alto rischio di automazione sul posto di lavoro. Tuttavia, solo il 30% degli adulti ha ricevuto formazione negli ultimi 12 mesi, contro una media OCSE del 42%.
Anche sul fronte degli insegnanti la situazione non è rosea. 3 insegnanti su 4 ammettono di aver bisogno di ulteriore formazione nell’utilizzo autonomo della tecnologia per svolgere la propria professione. Se osserviamo l’indice elaborato da OCSE vediamo che peggio di noi ci sono solo gli insegnanti russi e lo stacco fra noi e il paese che totalizza il punteggio appena superiore è rilevante. Gli insegnanti statunitensi, al top della classifica, totalizzano un punteggio si 0,8 (in un range da 0 a 1) mentre noi 0,4. Tedeschi, francesi e spagnoli 0,7 su 1.
La conseguenza è che si usano meno gli strumenti informatici. Mentre in molti Paesi OCSE gli insegnanti utilizzano le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione con pari intensità rispetto ad altri lavoratori con istruzione terziaria, i docenti Italiani rimangono indietro e utilizzano le nuove tecnologie ben al di sotto di altri lavoratori altamente qualificati.
È notevole in Italia infine la forbice fra gli studenti che sanno utilizzare bene internet e chi invece si sente in difficoltà davanti a questo strumento. Abbiamo una delle percentuali più basse dell’area OCSE di top performers, mentre quasi sei ragazzi su dieci si definiscono low performers in tal senso.