Sono passati ormai tre anni dall’entrata in vigore della Legge Cirinnà sulle unioni civili fra coppie dello stesso sesso, anche se i dati più recenti a livello nazionale sono al momento aggiornati al 31 dicembre 2017.
Considerando sia le unioni civili costituite in Italia sia le trascrizioni di unioni costituite all’estero, nel primo anno e mezzo si sono registrate 6.712 unioni, e sono state di più le coppie di uomini a celebrare in questo modo il loro amore: precisamente 4682, a fronte di 2030 coppie di donne, per un totale di 13 mila persone coinvolte, cioè 2 cittadini su 10 mila. Un’unione su quattro è avvenuta a Roma, Milano e Torino.
Per fare un paragone, solo nel 2017 (dati istat ) sono avvenuti in Italia 191.287 matrimoni, la metà con rito civile e l’altra metà anche religioso.
Si sa, il trend è che ci si sposa sempre di meno: il confronto tra i dati del Censimento della popolazione del 1991 e quelli riferiti al 2018 mostra infatti che fra i 15- 64 enni, a fronte di un lieve calo della popolazione (- 309 mila persone), si contano 3,8 milioni di matrimoni in meno e 3 milioni di celibi e oltre 972 mila divorziati in più. Al 1 gennaio 2018 il numero dei coniugati e dei celibi è quasi il medesimo: 28 milioni contro 25 milioni.
Trent’anni fa la metà degli uomini e il 69% delle donne fra i 25 e i 34 enni era sposato, oggi lo è rispettivamente il 19,1% dei maschi e il 34,3% delle femmine. I celibi erano il 48,1% dei giovani uomini e il 29% delle giovani donne: oggi sono rispettivamente l’ 80,6% e il 64,9%. Nella classe di età 45-54 anni quasi un uomo su quattro non si è mai sposato mentre è nubile quasi il 18% delle donne.
La ragioni per la quale al momento non possediamo dati più recenti sulle unioni civili è che la rilevazione – spiega Istat – si basa sul modello D.7.A annuale, a cui è seguito un approfondimento, mediante elaborazioni e stime basate sulle Liste Anagrafiche Comunali (LAC) al 1° gennaio 2017 e al 1° gennaio 2018. Inoltre l’adeguamento dei comuni alle nuove indicazioni è stato progressivo, man mano che si costituivano le unioni. Per stimare il numero di persone unite civilmente nel corso del 2017 Istat ha confrontato il numero di persone presenti con stato civile “unito/a civilmente” nella LAC al 1° gennaio 2018, con coloro che al 1° gennaio 2017 erano presenti nelle LAC ma con uno stato civile diverso. In questo modo si è potuto stimare il numero delle persone che presumibilmente si sono unite civilmente o hanno trascritto un legame precedentemente contratto all’estero nel corso del 2017, fenomeno che riguarda quasi il 70% del totale degli iscritti in anagrafe come uniti. A partire dal primo gennaio 2018 l’Istat ha avviato una nuova rilevazione individuale di tutte le unioni civili.
Nel primo anno e mezzo gli uniti civilmente non sono stati giovanissimi. L’età media è di 49,5 anni per le coppie di uomini e di 45,9 anni per le coppie di donne, e oltre la metà (il 56%) delle persone risiede al Nord.
Sono state poco più di 800 le unioni civili nel Meridione (il 12%), e soltanto Napoli e Palermo mostrano valori di un certo rilievo (rispettivamente 114 unioni a Napoli e 60 a Palermo), dato che nelle altre città del Sud e delle Isole si registrano quote percentuali al di sotto dell’1%. Le quattro regioni del Centro (Emilia Romagna, Lazio, Umbria e Marche) hanno contato 1882 unioni nel primo anno e mezzo, a fronte delle oltre 4000 unioni registrate nel Nord Italia. La prima regione per numero di unioni è la Lombardia, anche se la città metropolitana con il maggior numero di registrazioni è stata Roma, e non Milano (753 unioni contro 621). Seguono Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Veneto. Non si può comunque dire che la provincia non abbia sfruttato questa nuova possibilità, dal momento che due unioni su tre sono avvenute fuori dalle grandi città metropolitane.
Infine, non si può non osservare che quasi la metà delle persone unite civilmente è laureata, e considerato che in Italia solo il 16% delle persone fra i 15 e i 64 anni è laureato (la media UE è del 27%) si tratta di percentuali che fanno riflettere.