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finanza

Quarant’anni di disuguaglianze salariali spiegati bene

 

 

Capire 40 anni di disuguaglianze salariali

Quando parliamo di disuguaglianze reddituali – salariali e patrimoniali – fra dipendenti del settore privato, è luogo comune attribuire la colpa dell’aumento della povertà assoluta alla Crisi del decennio che va concludendosi. In realtà i dati mostrano che il fenomeno è in atto almeno da quarant’anni, anche se era raro nei decenni passati parlare di economia e di crescita con le lenti delle disuguaglianze sociali.

Redditi da lavoro: in calo dagli anni Settanta

Una descrizione interessante la fornisce a questo proposito l’ultimo rapporto di Inps, uscito a inizio luglio 2019, che lavora su un orizzonte temporale più lungo, dal 1975 al 2017, e che mostra che in 50 anni la quota di redditi da lavoro costantemente diminuita: la media dell’eurozona è passata da valori attorno al 70% degli inizi degli anni ottanta a valori di poco superiori al 60% negli anni duemila. Nel frattempo i salari medi sono prima aumentati e poi calati, mentre le disuguaglianze salariali hanno seguito un trend opposto:  sono diminuite, fino agli anni Ottanta, per poi aumentare sensibilmente.

Per quanto riguarda i salari medi, nel periodo 1975-2017 si susseguono due fasi, separate dalla crisi economica di inizio anni novanta: fra il 1975 e il 1992-1993, i salari medi annuali sono cresciuti considerevolmente (+40%), passando da poco meno di 16.000 euro a circa 22.000 euro. Nella seconda fase, dal 1992-1993 fino al 2017, sono rimasti sostanzialmente stabili intorno a 22.000 euro annui. In che modo ha agito la crisi? Gli esperti di Inps attribuiscono la responsabilità alla stipula di nuovi accordi fra le parti sociali. Uno degli obiettivi era proprio quello di limitare la forte crescita salariale degli anni precedenti.

Percentile che sale, percentile che scende

È noto che l’indicatore che misura la disuguaglianza reddituale annuale è l’indice di Gini: più la disuguaglianza è ampia, più elevato è il valore di Gini. L’indice indica che la disuguaglianza fra gruppi è diminuita fortemente dal 1975 al 1982, per poi crescere fino a oggi. Ciò potrebbe essere dovuto – spiegano gli esperti – all’introduzione nel 1975 del meccanismo del punto unico di contingenza, in base al quale l’aumento salariale derivante da accordi istituzionali veniva fissato in valore assoluto e non in termini percentuali, con un effetto di compressione sulla distribuzione.

 

Se si considerano i cinque percentili, fissando a 100 i valori nel 1975,  si evince la perdita importante dei percentili più bassi rispetto al resto della distribuzione. Fino agli inizi degli anni ottanta il decimo percentile aumenta relativamente più degli altri (come già accennato a causa dell’introduzione del punto unico di contingenza). Dalla metà degli anni ottanta è invece il novantesimo percentile a crescere maggiormente, mentre dalla metà degli anni novanta crollano sia il 10mo che il 25esimo percentile.

La disuguaglianza salariale è nei gruppi, non fra i gruppi

Concentrarsi sui divari medi tuttavia, implica attribuire interamente il peso delle disuguaglianze alle divergenze retributive medie di individui in gruppi diversi. Può essere dunque utile l’indice di Theil, che identifica il peso relativo delle componenti della disuguaglianza tra gruppi (between) e all’interno degli stessi (within), e che permette di scomporre per sottogruppi. Così si osserva che fra il 1975 e il 2017 la componente between in termini di genere non spiega più del 5% della variabilità totale. In altre parole se non ci fosse variabilità within (cioè uomini e donne guadagnassero tutti i salari medi in ogni categoria) la disuguaglianza totale si ridurrebbe solo del 5%, suggerendo che il 95% della disuguaglianza totale è spiegata all’interno dei gruppi, cioè dalla disuguaglianza all’interno delle categorie uomini e donne.

Questi divari non sono in realtà un bene per la comunità. La letteratura mostra che una equa redistribuzione del reddito dai profitti ai salari possono avere effetti positivi sulla crescita. Maggiore è la polarizzazione del reddito (cioè quanto più grande è la distanza fra chi guadagna di più e chi quasi nulla) maggiore è il ricorso all’indebitamento  da parte delle famiglie, con potenziali conseguenze sulla stabilità finanziaria.