Quando guardiamo ai risultati dell’esame di maturità un punto che emerge di continuo è la differenza nei risultati fra licei, istituti tecnici e professionali. I primi, con il classico in testa, tendono ad avere studenti con voti migliori al termine della scuola dell’obbligo, mentre il contrario succede – in media – appunto ai professionali.
Questa disparità, d’istinto, potrebbe farci pensare che i licei forniscono un’educazione migliore e i professionali una peggiore, ma le ragioni che ci sono dietro sono in effetti più complicate. I risultati scolastici dei ragazzi non dipendono soltanto dal loro talento, dalla predisposizione allo studio o dalla qualità della scuola, ma in parte anche dal contesto sociale, economico e culturale in cui essi crescono.
Chi cresce in famiglie dove per esempio i genitori hanno studiato di più, o hanno un reddito maggiore, di solito (anche se non sempre) ottiene anche risultati migliori a scuola.
È un punto di particolare importanza perché, come ricorda il rapporto Invalsi, la scuola superiore appare “socialmente stratificata”, nel senso che i ragazzi dal contesto familiare più favorevole tendono a frequentare i licei mentre i professionali vengono più spesso popolati da studentesse e studenti meno fortunati. Il che non fa che accentuarne ancora di più le differenze, favorendo i primi e lasciando indietro i secondi. Se poi aggiungiamo che chi va al liceo tenderà poi a frequentare molto più spesso l’università – e dunque a ottenere spesso un lavoro più redditizio – l’importanza della questione, da un punto di vista di mobilità sociale, non potrebbe essere più evidente.
In un certo senso la società italiana crea una sorta di binari che indirizzano i ragazzi verso specifici ruoli e professioni, ma che spesso non dipendono dal loro talento o abilità, quanto dal contesto familiare. In sociologia lo chiamano “effetto San Matteo”, da un parabola del Vangelo: “a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.