Corre lungo i confini orientali di Germania e Austria, giù fino a quelli italiani. Anche se all’epoca l’allora Jugoslavia, pur socialista, guidava i Paesi non allineati. È la cortina di ferro del costo del lavoro. Che a occidente è più alto della media europea, mentre a oriente è più basso. Con alcune eccezioni: Portogallo, Spagna e Grecia, l’Italia del Sud e alcune regioni del Regno Unito hanno scelto il patto di Varsavia. Fuor di metafora, ecco la situazione rappresentata su una mappa:
Come è facile intuire, le regioni colorate di arancione sono quelle nelle quali il costo del lavoro è più basso di quello europeo. Mentre quelle in azzurro rappresentano le aree nelle quali il valore di riferimento è superiore a quello continentale. Il filtro in alto a sinistra consente di visualizzare, ingrandendolo sulla mappa, la situazione di un singolo Paese.
Ora, come si è arrivati a determinare questi dati? I numeri, che è bene specificare fanno riferimento al 2016, arrivano da Eurostat, che li definisce come “hourly compensation of employees”. E già qui c’è una seconda precisazione da fare: qui si parla solo di lavoratori dipendenti. Pure se non si specifica se si tratti di contratti a tempo determinato o meno.
L’istituto europeo di statistica definisce questo indicatore come la media dei soldi che vengono versati ai dipendenti per ogni ora lavorata, sia come salario che come contributi. Infodata ha quindi incrociato i dati relativi al totale delle somme versate nel corso dell’anno con il totale delle ore lavorate per calcolare il costo orario del lavoro nelle singole regioni europee.
Intanto la media europea: ogni dipendente riceve, per ogni ora trascorsa sul posto di lavoro, uno stipendio lordo di 22,68 euro. Su base regionale, però, la differenza è molto ampia. Si va dalla capitale belga, Bruxelles, dove la somma è di 44 euro l’ora, ad alcune zone della Bulgaria nelle quali non si arriva a 4 euro.
È chiaro, preveniamo un’obiezione, che queste somme vanno poi rapportate al costo della vita nei diversi Paesi europei. E che un confronto di questo tipo sarebbe ancora più significativo se effettuato in power purchasing standards piuttosto che in moneta corrente. Ma già utilizzando gli euro come metro di valutazione si comprendono le profonde differenze che attraversano un continente che a fine maggio sarà chiamato, tutto unito (o quasi, dipende da come evolverà la Brexit), ad eleggere un nuovo parlamento.
Non solo. È possibile infatti notare le differenze che emergono anche all’interno dell’Europa occidentale. Intanto, i Paesi Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) confermano di essere un passo indietro rispetto al resto d’Europa. Lisbona e Atene sono completamente al di sotto della media continentale. A Madrid si salvano solo i Paesi baschi, che con 22,77 euro l’ora sono leggermente al di sopra della media.
Mentre l’Italia è, come spesso accade, divisa in due. Si va dalla provincia di Bolzano, dove il costo del lavoro è pari in media a 25,76 euro l’ora, alla Calabria, dove si arresta a 18,3. Più in generale, il Nord è agganciato al resto dell’Europa occidentale, mentre il centro Sud è scivolato verso il patto di Varsavia, per riprendere la metafora iniziale. Fa eccezione il Lazio, dove la retribuzione oraria lorda è di 23,27 euro, una sessantina di centesimi in più rispetto alla media europea.
E poi c’è il Regno Unito. Qui le differenze si fanno ancora più profonde di quelle viste in Italia. Si va da zone come l’Inner London West, la parte occidentale della capitale britannica, dove la hourly compensation è pari a 40,78 euro Una cifra che si avvicina al limite massimo rappresentato dalla regione di Bruxelles. E poi si scende fino alla Scozia meridionale, dove questa cifra si ferma a 15,75 euro l’ora. Più in generale, se si guarda la mappa, si nota che, dal punto di vista delle retribuzioni orarie, il Regno Unito è tutt’altro che unito. Un po’ come sulla Brexit. Ma questa è un’altra storia.
Articolo pubblicato in aprile 2019