Per capire se l’istruzione italiana – e in particolare la scuola – è finanziata poco o tanto, come in altri casi il metodo migliore consiste nel fare qualche confronto con altre nazioni a noi grosso modo simili per livello di sviluppo.
I numeri più affidabili in questo senso sono quelli compilati ogni anno dall’Ocse, organizzazione parigina che produce statistiche di ottimo livello su un gran numero di temi. In dettaglio, la fonte migliore è il rapporto “Education at a Glance”, uscito da poco nella sua ultima edizione per il 2019. L’indicatore più semplice da cui partire è la spesa media per ciascuno studente, così da capire quante risorse vengono investite su di lei o lui lungo tutto il percorso di studi.
Dai sei ai quindici anni, ci dicono i numeri del rapporto, la spesa per studente italiana si colloca sia sotto la media dei paesi sviluppati censiti dall’OCSE sia sotto quella di 23 nazioni europee – meno di Francia e Germania, molto meno del Regno Unito ma un po’ più della Spagna.
Guardando ai singoli livelli d’istruzione, dove l’Italia più si avvicina agli altri paesi europei è alle elementari, mentre risultiamo lontani in particolare nella scuola media. Nel nostro continente la spesa per studente risulta molto alta in Austria un po’ a tutti i livelli, e in Svizzera in particolare alle superiori. Nazioni nordiche come Norvegia e Finlandia spiccano invece per il loro investimento – rispettivamente – alle elementari e medie.
Non ha molto senso, s’intende, confrontare direttamente la spesa di una nazione molto ricca come la Svizzera come per esempio quella della stessa Italia. Lì dove i redditi medi sono maggiori la spesa per studente non può che essere più elevata, quindi per dare una misura di quante risorse vengono investite conviene – come ha fatto l’Ocse stessa – calcolare qual è il rapporto fra tale spesa e appunto il reddito medio. In questo possiamo farci un’idea del livello di spesa “relativa” alle possibilità di ciascuna nazione.
In base a questi calcoli la spesa per studente italiana risulta vicina al livello della media europea soltanto nel caso della scuola elementare, e sotto di essa sia alle medie che alle superiori. Se invece della media europea prendiamo singole nazioni troviamo per esempio che rispetto alla Spagna – nazioni a noi più simile per tanti aspetti – abbiamo una spesa minore in tutti i casi. In alcuni livelli d’istruzione, però, relativamente al nostro PIL per abitante essa può diventare maggiore che in Francia o Germania.
Essendo il prodotto di due fattori che possono muoversi in direzioni diverse, la spesa per studente può aumentare o diminuire per motivi altrettanto differenti. Per esempio la spesa totale in istruzione può restare stabile mentre aumenta il numero di studenti, così che a conti fatti per ciascuno di essi ci siano meno risorse. O al contrario se gli studenti non variano molto ma aumenta il denaro investito troveremo la spesa per studente stessa in crescita.
Cosa è successo all’Italia, in questo senso? Dal 2011 al 2016, mostrano i numeri dell’Ocse, nel nostro paese il numero di studenti è calato leggermente, mentre la spesa è scesa in maniera più decisa. Il risultato, nel complesso, è che la spesa per ognuno di essi è oggi minore che un tempo, e ben minore al 2005.
Altre nazioni hanno seguito traiettorie diverse. In Spagna, per citare un altro caso, è cresciuto il numero di studenti e con esso la spesa complessiva, anche se non alla stessa velocità. Nel Regno Unito, invece, rispetto al 2010 gli investimenti totali sono aumentati di quasi il 15%, ben più della crescita degli studenti tanto da spingere molto in alto la spesa per ciascuno.
Un altro modo di guardare allo stesso problema è capire quanto parte del reddito complessivo nazionale (in effetti del Pil) finisce per essere speso nella scuola. Qui l’Italia si trova nella parte molto bassa delle nazioni sviluppate, e solo pochissime altre hanno valori in percentuale del PIL inferiori al nostro.
Lo stesso indicatore, oggi, appare quasi ovunque inferiore rispetto a qualche anno fa. Dal 2010 al 2016 la spesa sul PIL italiana per l’istruzione pre-universitaria è calata del 14%, diminuita in maggior misura rispetto alla media europea.
Questo non vuol dire sempre che la spesa totale sia oggi inferiore rispetto a un tempo. Poiché si tratta di un rapporto fra due grandezze, è per esempio possibile che gli investimenti nella scuola siano cresciuti, ma meno dell’economia complessiva di una nazione – quindi appunto con un rapporto minore.
Per esempio, come anticipato, certamente in Germania gli investimenti in istruzione non solo calati del 10%: in effetti non sono variati troppo dal 2011 al 2016 (considerata anche l’inflazione e dunque l’aumento del costo della vita). Nello stesso periodo però l’economia tedesca è cresciuta parecchio, così che a conti fatti l’istruzione è diventata una fetta più piccola del totale.
Il nostro caso è differente. Per parte sua, l’Italia è cresciuta pochissimo, con la spesa per istruzione in netto calo: da 70-72 miliardi di euro (secondo Eurostat) nel 2008-2010, a 65-66 nel periodo più recente. Calcolando anche che nel frattempo il costo della vita è aumentato, il calo reale è ancora maggiore.
“La spesa pubblica rimane la fonte principale di finanziamento dell’istruzione nei paesi Ocse”, ricorda il rapporto. “In media, la spesa pubblica per le istituzioni educative dal livello delle elementari fino all’università vale il 4% del PIL”, con ampie differenze fra nazioni: in Italia arriva intorno al 3, nei paesi nordici si trova invece anche fra il 5 e il 7.
In Italia il settore privato ha una funzione tutto sommato modesta nell’istruzione al livello delle scuole elementari, medie o superiori. Fra i paesi sviluppati, o anche guardando invece alla sola media europea, il privato tende ad avere un’incidenza maggiore (anche se comunque ben minoritaria) sul totale.
Un ultimo indicatore per capire quanta priorità viene data all’istruzione nei diversi paesi considera invece quanta parte della spesa pubblica totale finisce investita appunto in questo campo. L’Italia è una nazione in cui solo una piccola parte del denaro pubblico arriva alle scuole, mentre – per fare un confronto – arriviamo quasi al record mondiale per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia.