Dopo un periodo di grande crescita, per la prima volta nel 2017 il numero di emigrati italiani è rimasto tutto sommato stabile rispetto all’anno precedente. La singola destinazione più scelta appare, di recente, il Regno Unito, anche se è la Germania la nazione con i numeri maggiori negli ultimi 15 anni.
Le prime nazioni non europee sono gli Stati Uniti e il Brasile, anche se si tratta comunque di flussi ben inferiori: circa 5.500 persone verso il Paese nordamericano nel 2017 contro oltre il triplo diretti piuttosto verso la Germania.
Cosa sappiamo di queste persone? Si tratta spesso di italiani relativamente giovani, tanto che buona parte di loro ha meno di 40 anni. Tuttavia anche i flussi composti da chi ha da 40 a 64 anni sono cresciuti fino a superare le 20mile persone, mentre i gruppi di anziani che lasciano l’Italia sono rimasti comunque piccoli.
Se invece guardiamo al livello di istruzione, troviamo che nei soli quattro anni fra il 2013 e il 2017 l’Italia ha perso in totale oltre 150mila diplomati e laureati.
Per fare il conto preciso non basta però considerare solo chi va via: ogni anno troviamo anche un certo numero di italiani che tornano in patria dall’estero. Mettendo sulla bilancia gli uni e gli altri, troviamo appunto come dall’inizio della crisi economica il saldo complessivo sia stato sempre più negativo, fino a toccare un picco negativo di quasi 80mila persone nel 2016. Solo nel 2017, però, gli italiani emigrati sono rimasti stabili e insieme è cresciuto il numero di rientri: due fenomeni che nel complesso hanno portato a un leggero miglioramento nel saldo complessivo di partenze e arrivi – che però resta sempre nel territorio ben sotto lo zero.
L’ultimo dettaglio da tenere a mente per dare un senso a questi numeri è che essi non misurano davvero quanti sono gli italiani all’estero, ma soltanto coloro che si registrano presso l’AIRE – l’anagrafe che li censisce. Non tutti però lo fanno, per i motivi più diversi, e così ci sono buoni ragioni per pensare che i valori reali siano maggiori di quanto possono saperne gli uffici statistici.
Come ha notato il ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, “è normale che gli apparati statali siano più bravi a misurare l’immigrazione che l’emigrazione”, ma facendo un confronto di massima con i numeri in ingresso registrati nel Regno Unito, Svizzera, Spagna e Paesi Bassi i valori reali potrebbero in effetti essere del 40% superiori a quelli censiti dall’AIRE, portando il totale di espatri del periodo 2011-2017 da 620mila a poco più di un milione in tutto.
Si tratta di una stima difficile data la mancanza di informazioni più affidabili, ma che comunque può darci un’idea della dimensione reale del problema.