Secondo i dati diffusi il 20 novembre 2019 dal rapporto “Femminicidio e violenza di genere in Italia” della La Banca Dati EURES, la violenza di genere non cala. Nel 2018 sono stati 142 i femminicidi (+ 0,7% sull’anno precedente), di cui 78 per mano di partner o ex partner. L’85% dei femminicidi infatti avviene in famiglia, anche se nella metà dei casi a uccidere sono altri familiari. Nel 28% dei casi “noti”, le donne uccise avevano subito precedenti maltrattamenti spesso note a terze persone.
Nel complesso i femminicidi seguono un trend diverso da quello dell’insieme degli omicidi commessi in Italia, che sono in forte calo anno dopo anno. Sono 352 gli omicidi volontari nel 2018, contro i 1219 del 1983 e i 502 del 2013. Le armi da fuoco sono il mezzo più utilizzato (32,4% dei casi), il 23% delle donne è stata uccisa con arma da taglio e un altro 23% a mani nude.
No: non parliamo in generale di omicidi di donne, ma di “femminicidi” nel suo reale significato, quello fissato nel 1992 da Diana Russell nel libro Femicide: The Politics of woman killing, e assunto dalla riflessione femminista successiva: “una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna proprio perché donna. Quando parliamo di femminicidio quindi non stiamo semplicemente indicando che è morta una donna, ma che quella donna è morta per mano di un uomo in un contesto sociale che permette e avalla la violenza degli uomini contro le donne.” Anche il rapporto “Questo non è amore 2019” pubblicato in questi giorni dalla Polizia di Stato differenzia a pagina 16 fra omicidi volontari di donne e femminicidi, e lo stesso fa il rapporto EURES. Quest’ultimo fa anche di più: evidenza che i femminicidi sono il 38% degli omicidi commessi in Italia nel 2018, che i femminicidi familiari sono l’85% dei femminicidi e che i femminicidi di coppia sono il 75% di quelli familiari.
Come raccontavamo qualche settimana fa sempre su Infodata , secondo recenti dati Istat nel 2017 una donna su mille si è rivolta a un centro antiviolenza (43.467 donne cioè 15,5 ogni 10 mila) e due su tre di loro – 29 mila – sono state prese in carico, cioè hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Per essere precisi, però, non si possono mescolare le statistiche sui femminicidi con quelle sulla violenza di genere: in quest’ultimo caso (stalking, violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia) si fa riferimento alle denunce, non alle condanne, mentre per il dato sugli omicidi è definitivo.
Significa che possiamo inferire che tutti gli uomini sono violenti o stalker? No. Che non ci sono casi in cui sono le donne a maltrattare gli uomini? No. Che non possono esserci casi di errore o malafede? Di nuovo no: possono esserci; ma statisticamente oggi abbiamo il dovere di ammettere che esiste una violenza di genere legata al voler limitare la libertà di movimento e pensiero della propria compagna/moglie/ex compagna/ex moglie, che ha dimensioni molto maggiori e origini complesse rispetto a quanto accade agli uomini che denunciano maltrattamenti e violenze da parte delle donne. La cultura repressiva nei confronti delle donne “in quanto donne” è ancora estremamente presente. Secondo i dati Eures, nel 2018 il 92% delle violenze sessuali, il 76% delle denunce per stalking e l’81% di quelle per maltrattamenti in famiglia sono state fatte da donne. Il rapporto della Polizia di Stato rileva che per esempio nel mese di marzo 2019, in media, ogni 15 minuti è stata registrata una vittima di violenza di genere di sesso femminile.
Delle 123 donne uccise nel 2017 (dato Istat), 44, cioè un terzo, sono state assassinate dal partner e altre 10 dall’ex partner, per un totale di 54. Gli uomini assassinati dalla propria partner o ex partner sono stati 8. In sintesi l’80,5% delle donne uccise è vittima di una persona che conosce: nel 43,9% dei casi è un partner, nel 28,5% un parente (inclusi figli e genitori) e nell’8,1% un’altra persona conosciuta. La situazione è molto diversa per gli uomini: nel 32,1% dei casi sono stati uccisi da una persona che non conoscevano: la quota di uomini uccisi da conoscenti è pari a solo il 24,8%, un terzo del corrispettivo valore delle donne.
La realtà è comunque più complessa delle statistiche, e la “violenza” si dice in molti modi. È sufficiente sintonizzarsi ogni mercoledì sera su Chi l’Ha Visto per farsi un’idea della “realtà delle famiglie italiane”. Ci sono donne che subiscono violenza e che non hanno la forza di denunciare. Donne – come Claudia da Palermo , che dopo una vacanza all’estero non vogliono tornare a casa dal marito e rimangono dai genitori con i figli, ottenendo come risposta un processo per sottrazione di minore, e che si vedono costrette a tornare sole, all’estero, lasciando i figli, per vivere la propria vita libera. «Mio marito è geloso, mi controlla tutto e mi sgrida se sbaglio… Mi dice che fare la casalinga è cosi facile», racconta Claudia. E ci sono donne come Antonietta , che non denunciano alcuna violenza, ma che provano “semplicemente” ad andarsene, in sordina, da una vita da cameriere. Certo, l’oppressione familiare riguarda anche gli uomini, ma in forme diverse.
Ad agosto 2019 – spiega il suddetto rapporto della Polizia di Stato – è entrata in vigore la legge n. 69, cd “Codice rosso”, che ha innovato e modificato la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione. “Tra le novità – si legge – è previsto uno sprint per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati: tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, con l’effetto che saranno adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime. Al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il giudice può aggiungere l’utilizzo di mezzi elettronici come l’ormai più che collaudato braccialetto elettronico. Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene ricompreso tra quelli che permettono l’applicazione di misure di prevenzione.”