Nel 2017 i dipendenti pubblici in Italia sono stati un filo più 3 milioni e mezzo, e hanno lavorato in circa 12.800 istituzioni diverse. Sono i risultati dell’ultimo censimento permanente delle istituzioni pubbliche, pubblicato dall’istituto nazionale di statistica per capire esattamente chi e quante sono le persone che lavorano per lo stato, e cosa fanno.
La densità dei dipendenti pubblici è di gran lunga maggiore nelle aree a statuto speciale: intanto in Valle d’Aosta, e poi un po’ meno nelle province autonome di Trento e Bolzano. Valori superiori alla media nazionale anche in Friuli-Venezia Giulia e in Sardegna. Guardando alle macro-regioni, il centro (guidato dal Lazio) risulta impiegarne in maggior misura, mentre nel nord-ovest troviamo i valori minori – in particolare a causa della Lombardia che presenta numeri ben minori rispetto alla media nazionale.
Guardare al numero di dipendenti pubblici può essere utile anche per farsi un’idea delle dimensioni dello Stato: e cioè se negli ultimi anni sta diventando più piccolo o più grande. Il rapporto dell’Istat analizza in questo senso il periodo intercorso fra il 2017 e il 2011, con una tappa intermedia nel 2015, trovando che nel primo anno i dipendenti pubblici erano 2.969.988, aumentati poi a 2.981.618 nel 2015 e infine a 3.032.318 nel 2017. Nello stesso periodo comunque è cresciuta leggermente anche la popolazione italiana, e se vogliamo continuare a contare quanti sono i posti pubblici ogni mille abitanti viene fuori che nel 2011 essi erano circa 50, diminiti poi a 49 nel 2015 ma tornati esattamente dov’erano nel 2017. Oggi quindi come numero totale lo stato impiega un po’ più di persone – circa 60mila – di un tempo, ma la densità di dipendenti pubblici a parte qualche fluttuazione è rimasta identica.
Il calo fra il 2011 e il 2015, ricorda Istat, è il risultato della “flessione del personale a tempo indeterminato (-1,7%, -45mila unità) e di un aumento di quello a tempo determinato (+5,1%, +10mila unità circa)”. L’aumento nel numero complessivo di posti si deve comunque in sostanza alla crescita dei collaboratori e di altre forme di contratto atipiche (+50% rispetto al 2011).
In questo confronto i numeri sono diversi e leggermente minori che nel totale complessivo delle persone censite indicato indietro. Questo perché, come ricorda l’istituto, “al fine di analizzare i cambiamenti verificatisi rispetto all’ultimo censimento generale delle istituzioni pubbliche del 2011, i confronti temporali sono effettuati a parità di campo di osservazione, escludendo quindi le Forze di sicurezza, le Forze Armate e agli occupati all’estero“. Sono stati dunque considerati la maggior parte ma non tutti i posti pubblici per garantire un confronto corretto di mele con mele e pere con pere anche fra periodi di tempo diversi.
Fra il 2011 e il 2017 diminuisce invece il numero di “unità locali”, calate di circa 3.500 unità e quindi del 3,2% “in conseguenza dell’attuazione di politiche di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica”. Un’unità locale indica il “luogo fisico nel quale un’unità giuridico-economica (istituzione pubblica) esercita una o più attività, situata in una località topograficamente identificata da un indirizzo e da un numero civico. In tale località, o a partire da tale località, si esercitano delle attività economiche per le quali una o più persone lavorano (eventualmente a tempo parziale) per conto della stessa unità giuridico-economica“.
Ma di chi parliamo, esattamente? Le persone finite la lente d’ingrandimento dell’istituto si dividono in sostanza in tre grandi gruppi: i dipendenti a tempo indeterminato, quelli a termine e i “non dipendenti” – che cioè lavorano sotto forme più atipiche di contratto. Del totale quasi tutti (il 95%) sono dipendenti, mentre gli altri sono impiegati con tipi di contratti diversi: “collaboratori coordinati e continuativi o a progetto, altri atipici e temporanei”. Poco più della metà dei dipendenti in senso stretto lavora nell’amministrazione centrale, un altro 20% nel servizio sanitario, l’11 nei comuni mentre il restante 14 include tutti gli altri casi. Lo stato fa ricorso a contratti a tempo indeterminato per 3 milioni di persone (l’86%), e impiega invece gli altri a tempo determinato o attraverso altre forme di contratto.
Prima puntata… (segue)