Il rapporto tra i redditi del 10% più ricco e del 10% più povero è oggi il 25% più alto di quanto sarebbe in un mondo senza il riscaldamento globale.
Lo sintetizza in modo piuttosto chiaro l’ultimo rapporto del dipartimento dei affari economici e sociali delle nazioni unite dal titolo World Social Report 2020. Inequality in a rapidly changing world : il cambiamento climatico non agisce uniformemente in tutti i contesti socio-economici, ma impatta maggiormente laddove le disuguaglianze sociali sono più persistenti.
Uno studio pubblicato nel 2019 rilevava che dal 1961 al 2010, le temperature più elevate hanno migliorato la crescita economica nei paesi più ricchi mentre hanno influenzato negativamente la crescita dei paesi poveri. Che le perdite relative al Pil siano molto più sostanziali nei paesi a basso reddito lo evidenzia anche un articolo pubblicato proprio a febbraio 2020, che mostra che in uno scenario di continue elevate emissioni e assenza di politica climatica, si prevede che entro il 2050 i soli cambiamenti di temperatura e precipitazioni nell’Africa orientale e occidentale ridurranno i tassi di crescita del Pil pro capite annui di oltre il 10%. “Con perdite fino al 15% della crescita del PIL pro capite – scrivono gli autori – le economie africane sono scarsamente adattate alle loro condizioni climatiche. Si prevede che le disuguaglianze tra i paesi aumenteranno in conseguenza dei cambiamenti climatici e i paesi dell’Africa occidentale e orientale siano i paesi più colpiti del continente”.
Sempre più poveri
Non solo laddove c’è vulnerabilità l’impatto del cambiamento climatico è maggiore, ma esso genera un circolo vizioso, aggravando la disuguaglianza e la situazione già precaria di molti gruppi svantaggiati. La scelta del titolo del terzo capitolo è netta: il cambiamento climatico esacerba povertà e disuguaglianza. Un articolo pubblicato su Nature nel 2016 stimava che, anche in uno scenario a basso impatto in cui le strategie di mitigazione e adattamento hanno successo, i cambiamenti climatici potrebbero portare comunque a un aumento di 3 milioni e 16 milioni di persone che vivono in povertà, già entro il 2030. In uno scenario invece di grande impatto, le persone che potrebbero cadere in povertà sarebbero un numero fra 35 e 122 milioni.
Attenzione: quando parliamo di disuguaglianze sociali non ci riferiamo solo alle differenze fra paesi, ma anche alle disomogeneità, spesso ampissime, fra segmenti di popolazione all’interno dello stesso stato. In Bangladesh, ad esempio, molte famiglie a basso reddito vivono in baraccopoli che tendono ad essere situate in zone a minor altitudine. Durante il ciclone del 2009, una famiglia povera su quattro è stata colpita dalla tempesta, rispetto a una famiglia non povera su sette. Lo stesso è accaduto anche a New Orleans, negli Stati Uniti, nel 2005: la maggioranza dei residenti che vivevano in quartieri meno elevati erano famiglie a basso reddito che hanno sofferto in modo sproporzionato durante l’uragano Katrina.