L’istituto superiore di sanità ha aggiornato i dati su chi ha perso la vita in Italia ed è risultato positivo al Sars-cov-2. Il report del 13 marzo che potete leggere qui descrive le caratteristiche di 1016 pazienti deceduti e positivi al Coronavirus in Italia. Si scopre, come riporta il Sole 24 Ore, che l’età media dei decessi è 79,4 anni, il 71,5% sono uomini, Due i pazienti deceduti sotto i 40 anni. Ma cosa vuole dire morire di Coronavirus? Come spiega lo studio dell’Oms – Report of the Who-China Joint Mission on Coronavirus Disease 2019 (Covid-19), pubblicato il 28 febbraio 2020 i pazienti che non hanno altre malattie a parte il coronavirus hanno tassi di letalità dell’1,4 per cento e quindi nettamenti più bassi della media. Quelli che invece hanno condizioni sanitarie compromesse da altre malattie oltre al coronavirus hanno percentuali più alte: il 13,2 per cento tra chi ha malattie cardiovascolari, il 9,2 per cento tra i diabetici, l’8,4 per cento tra chi soffre di ipertensione, l’8 per cento tra chi soffre di malattie respiratorie croniche, il 7,6 per cento tra chi è malato di cancro. Per un approfondimento sul tasso di letalità leggere qui.
E in Italia? Coma precisa il report dell’Iss le patologie osservate fra i pazienti deceduti per coronavirus sono spesso plurime. Questo dato è stato ottenuto in 268/1016 deceduti (26.4% del campione complessivo). Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 2.7 (mediana 2, Deviazione Standard 1.5). Complessivamente, 3 pazienti (1.1% del campione) presentavano 0 patologie, 7 0 (26.1%) presentavano 1 patologia, 69 presentavano 2 patologie (25.7%) e 126 (47.0%) presentavano 3 o più patologie.
Le più comuni patologie croniche pre-esistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione) nei pazienti deceduti sono l’ipertensione arteriosa – la più diffusa – che colpisce il 76,5% dei deceduti. Segue la cardiopatia ischemica (37,3%), la fibrillazione atriale (26,5%) e il cancro attivo negli ultimi 5 anni (19,4 per cento).
Come avviene la certificazione di decesso a causa di COVID-19? Non è banale. Deve essere accompagnata da parere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Per questo motivo, è stato creato un gruppo di lavoro dedicato allo studio delle cause di morte dei pazienti deceduti che risultavano positivi all’infezione da SARS-CoV-2.
L’analisi si basa sui dati contenuti nelle cartelle cliniche e nelle schede di morte ISTAT recanti le cause di decesso di questi pazienti. La raccolta dati avviene tramite la piattaforma web http://covid-19.iss.it, già utilizzata dalla sorveglianza nazionale, epidemiologica e virologica, dei casi di COVID-19 in Italia (coordinata dall’ISS e attivata dalla Circolare ministeriale del 22 gennaio 2020, n.1997).
Ciò premesso come Infodata ci siamo domandati: Il Coronavirus sarà la causa di morte in Italia più frequente nel 2020? Al momento non sembra possibile e probabilmente non arriverà tra le prime dieci se avranno effetto le azioni di prevenzione che l’Italia sta attuando.
Per mettere a confronto la mortalità da Covid-19 rispetto alle altre cause, abbiamo utilizzato i dati Istat. L’istituto di statistica riporta i principali motivi di decesso registrati in Italia nel 2017, ultimo anno disponibile. In tre anni non vi sono stati così tanti cambiamenti (demografici, sociali oppure clinici) tali da ipotizzare che nel 2020 vi possano essere dei numeri tanto differenti da stravolgere questa classifica.
Poi abbiamo formulato, per semplificare il ragionamento, un’ipotesi: che cioè per ciascuna malattia, le morti da questa siano distribuite in modo lineare attraverso tutto l’anno. Ovviamente non è così, perché ci sono dei fenomeni di stagionalità, anche marcati, per diverse cause. E, speriamo, così sarà anche per la Covid-19. E’ tuttavia una forzatura utile per confrontare i dati in modo omogeneo.
Il grafico riporta per il giorno indicato l’elenco delle cause di decesso con il numero di vittime stimate – e quello invece registrato per il Coronavirus. Ebbene, il 14 marzo vi erano altre 27 malattie (o cause diverse) che hanno già fatto più morti su un totale di 72 voci esaustive delle casistiche. Il giorno successivo, tuttavia, aveva già scalato due posizioni. Il 17 marzo, con 2.503 decessi era già la diciottesima nel 2020. Quella la situazione al 15 marzo.
Covid-19
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368
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Malattie Cerebrovascolari
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164
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Altre Malattie Del Cuore
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150
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Altre Malattie Del Sistema Circolatorio
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137
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Altre Malattie Ischemiche Del Cuore
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124
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Tumori maligni Della Trachea, Dei Bronchi E Dei Polmoni
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93
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Altre Malattie Croniche Delle Basse Vie Respiratorie
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70
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Demenza
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Le prime quattro sono tutte malattie del sistema circolatorio. Questo gruppo, fino a metà marzo, ha mietuto circa 47mila vittime complessivamente. Al secondo posto i tumori con circa 36mila e al terzo quelle del sistema respiratorio con 11mila. Il totale delle malattie infettive e parassitarie, nello stesso periodo, dovrebbe aggirarsi a circa 4.200. Covid-19 inclusa.
Per arrivare a 60mila, come ne provocano le malattie cerebrovascolari, occorrerebbe che il tasso di mortalità annuo (ossia il rapporto tra i decessi e l’intera popolazione) si attesti allo 0,1%. Nonostante le differenze demografiche, politiche e sociali tra l’Hubei, la provincia cinese da cui è partita la diffusione del morbo, e l’Italia, se riuscissimo a contenere la diffusione come sta avvenendo nella regione di Wuhan sarebbe difficile ipotizzare per il nostro paese un bilancio di cinque o dieci volte peggiore. Tuttavia il conto cinese delle vittime ha oramai raggiunto piccoli incrementi giornalieri, mentre da noi si registrano ancora crescite esponenziali con tempi di raddoppio molto rapidi.
Perché la Covid-19 arrivi ad essere tra le dieci malattie più mortali d’Italia, dovrebbe avvicinarsi a 20mila decessi. C’é quindi da stare tranquilli? Niente affatto. Perché il picco di richieste al sistema sanitario che questa nuova patologia impone ha, come effetto collaterale, l’aumento del rischio per tutte le altre patologie. E’ lecito quindi aspettarsi un incremento dei morti a causa indiretta da Covid-19. Quindi è più che mai importante, come ripetuto più volte, cercare di dilungare gli effetti nel tempo, nella speranza da un lato di individuare nel breve delle cure che possano ridurne la letalità (in attesa del vaccino, il cui studio e produzione richiede tempi più lunghi rispetto all’emergenza in atto) e dall’altro di non saturare i reparti di terapia intensiva degli ospedali.
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