Secondo l’ultima analisi dell’istituto superiore di sanità, pubblicata il 13 marzo scorso, l’età mediana dei morti per Covid-19 in Italia è stata di 80 anni, 65 quella di chi finora è risultato positivo al virus.
Un po’ tutti i luoghi più colpiti dall’epidemia, dalla Cina alla Corea del Sud fino all’Italia stessa, hanno mostrato che sono gli anziani a patire le conseguenze peggiori, e fra loro anche per chi sopravvive al virus gli effetti possono essere pesanti. Questo, d’altra parte, non significa in alcun modo che i più giovani siano immuni.
Può essere utile allora mettere a confronto l’anzianità delle diverse province province italiane con il numero di casi riscontrati finora, per capire qual è la situazione. Finora infatti la provincia con i valori maggiori è stata quella di Bergamo, che secondo la protezione civile al 13 marzo 2020 aveva fatto registrare 2.368 casi. Seguono poi Brescia (1.784), Cremona e Milano (entrambe poco sopra le 1.300) e Lodi (1.133).
Con l’eccezione di Cremona, in quasi tutte le province più colpite vive un numero di over 65 vicino o sotto la media italiana, che secondo gli ultimi dati Istat del 2019 è del 21,7% – o per dirla in altre parole un filo più di una persona su cinque nel nostro paese ha oltre 65 anni. Rispetto alla popolazione residente, un’area particolarmente a rischio in questo senso è a nord-ovest e include l’intera Liguria (che d’altronde è la regione più anziana d’Italia), insieme a province piemontesi come Alessandria o in Emilia-Romagna come Ferrara.
Il caso significativo a nord-est è invece quello di Trieste. In ciascuna di queste aree vive un numero di anziani ben superiore alla media italiana, che in effetti diventano oltre una persona su quattro della popolazione complessiva. Si tratta anche di aree al momento meno interessate dall’epidemia, anche se comunque troviamo focolai rilevati di oltre 100 casi ad Alessandria, Genova e Trieste.
Fra le province che ospitano le città principali Milano quanto a numero di over 65 risulta vicinissima alla media italiana, Roma sotto, Napoli ancora più in basso e in effetti fra le meno anziane, mentre Torino appare nell’altro verso con una presenza significativa di queste persone.
In generale, ci dice ancora l’istituto superiore di sanità, fra i circa mille casi che fanno parte della loro analisi le donne decedute avevano un’età più alta degli uomini, mentre il rischio di morte aumenta molto dopo i 70 anni. Finora ha perso la vita il 5,8% di tutte le persone risultate positive e incluse in questo studio, mentre guardando alle singole fasce di età troviamo che è morto il 2,7% dei 60-69enni, il 9,6% dei 70-79enni, il 16,6% degli 80-89enni e il 19% degli ultra-novantenni.
In un campione di 268 dei 1.016 deceduti gli studiosi hanno verificato anche la presenza di eventuali malattie precedenti, trovando che le persone ne avevano in media 2,7. Tre dei morti non avevano alcun problema precedente, 70 presentavano una patologia, 69 due patologie e 126 tre o più. Le più frequenti hanno riguardato problemi come cardiopatie ischemiche, fibrillazioni atriali, ictus e ipertensione, mentre fra le altre menzionate troviamo diabete mellito, demenza, malattie croniche dei bronchi, cancro, malattie al fegato o insufficienze renali.
Fra i morti i sintomi più comuni sono stati febbre e difficoltà a respirare, presenti in circa l’80% dei casi, seguiti dalla tosse nel 45%.
Con un’età mediana di 46,7 anni l’Italia è il paese più anziano d’Europa, secondo Eurostat, e questo ci rende particolarmente sensibili a un’infezione tanto insidiosa per le persone di una certa età. Nel 2019 quasi un italiano ogni quattro aveva almeno 65 anni, contro una media europea del 20% e il 17,2% in Norvegia – fra i più giovani.
La pericolosità del virus per gli anziani è confermata anche dalle analisi condotte nella zona più colpita in Cina dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS), secondo cui “gli individui a maggior rischio per gravità della malattia e possibile morte includono gli over 60 e coloro con malattie precedenti come ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, problemi respiratori cronici e cancro”.
Com’è normale quando si mettono a confronto gruppi diversi fra loro, i numeri rilevati sono leggermente diversi da quelli italiani ma vanno comunque in una direzione simile. Lì l’Oms ha trovato che la maggiore mortalità esiste per gli over 80, dei quali è deceduto il 22%. Un’analisi più recente del Chinese Center for Disease Control and Prevention riportata mostra invece numeri leggermente inferiori, e pur confermando il maggior rischio per gli anziani porta il rischio di morte per gli over 80 contagiati al 15% circa. È invece all’8% per i 70-79enni, e cala al 3,6% per i 60-69enni.
La medesima analisi ha stimato che che fra coloro che avevano malattie cardiovascolari precedenti è morto il 10,5%, il 7,3% di chi aveva il diabete, circa il 6% per malattie respiratorie croniche, ipertensione e cancro.
Secondo quanto riportato da Business Insider lo stesso vale in Corea del Sud, dove anche in un contesto in cui i decessi complessivi sono stati finora pochissimi – 72 su 8mila casi – il peso è ricaduto in larghissima parte sugli anziani. Nel paese asiatico il tasso di letalità per gli ultra-ottantenni è stato dell’8,2%, del 4,8% per i 70-79enni. Come ricorda l’autore, il basso numero di morti in Corea del Sud deriva anche “dall’aggressiva politica di test condotta, con oltre 10mila tamponi al giorno”. Per fare un confronto, dall’inizio dell’epidemia e fino al 14 marzo in tutta Italia ne sono stati somministrati 109mila.
Un maggior numero di test può condurre a tassi di letalità inferiore perché le rilevazioni portano alla luce anche casi più leggeri, quando non proprio asintomatici, che invece altrove passerebbero inosservati.
Quando discutiamo del numero di casi e delle conseguenze, è fondamentale ricordarlo, parliamo soltanto di chi è stato testato e risultato positivo alla malattia. Questi però non sono né possono essere i valori complessivi di tutti quelli che hanno contratto il COVID-19 in Italia o altrove, perché moltissimi non sono stati sottoposti a un esame per verificarne la condizione, o hanno già contratto il virus in qualche forma leggera e forse neppure se ne sono accorti perché non hanno avuto chissà quali sintomi. È del tutto plausibile quindi che il numero di contagiati reale sia maggiore di quello che è possibile misurare al momento, anche se resta difficile dire esattamente di quanto.